I DISCORSI ALLA NAZIONE TEDESCA Di FICHTE
Nato a Rammenau nel 1762, Jobann Gottlieb Fichte fu il padre dell’idealismo etico. Il suo forte impegno culturale e politico gli valsero fama e gloria in una Gerrnania fino a quel momento divisa politicamente e ideologicamente, nonché militarmente sconfitta. Tra le varie opere da lui scritte, due furono d’importanza fondamentale per la giustificazione ideologica della politica imperialista della rinascente Germania.
Nell’opera Lo Stato commerciale chiuso sostiene che ciascuno ha il diritto di poter vivere del proprio lavoro e lo Stato, nato da un contratto sociale, deve garantire tale diritto. lo Stato deve essere indipendente economicamente dagli altri mediante una rigida autarchia, in modo che si sviluppino le energie spirituali e produttive della nazione. E’ questa una concezione socialista che si ispira ad un rigido nazionalismo perché i singoli individui sono costretti a subordinare i propri interessi a quelli universali della collettività di cui fanno parte e di cui lo Stato è unico rappresentante.
Ma l’opera più importante in questo senso sono i Discorsi alla Nazione Tedesca. Pronunciati tra il 1807 e il 1808, durante l’invasione napoleonica, sollecitavano la rinascita dei popolo tedesco. In essi è affermato il principio dei pangermanesimo (nazionalismo romantico), cioè il primato della nazione tedesca, alla quale egli attribuisce la missione di essere guide degli altri popoli, perché essa soia ha conservato attraverso i secoli la purezza della lingua, dei carattere e della religione (quella luterana). Il pensiero Fichtiano nella sua conformazione originale non presenta sicuramente elementi di sostegno alle politiche imperialiste che lo adotteranno come giustificazione dei loro operato. Come in altri casi questa giustificazione è frutto della storpiatura e dell’adattamento di una dottrina filosofica per fini moralmente ambigui che necessitano dell’appoggio di saggi pensatori per evitare l’opposizione dell’opinione pubblica.
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