Linda De Benedictis
27 Gennaio 2019Mario Falanga
27 Gennaio 2019Saggio breve /articolo di giornale
Ambito storico-politico
“Tutti ricorderanno lo splendido capitolo ottavo de ‘I promessi sposi’, quando Tonio e Gervaso, entrati in canonica con la scusa di una ricevuta, si fanno di lato e rivelano, agli occhi terrorizzati di don Abbondio, Renzo e Lucia. Il curato non dà tempo a Renzo di dire “signor curato, in presenza di questi testimoni, questa è mia moglie”, che afferra la lucerna, tira a sé il tappeto del tavolino, lo butta sulla testa di Lucia che stava per aprir bocca, e la imbacucca “che quasi la soffogava”. E intanto “gridava quanto n’aveva in canna: ‘Perpetua! Perpetua! tradimento! aiuto!'”.
Con questa reazione forsennata (ma in effetti molto calcolata) Abbondio impediva a Renzo e Lucia di sposarsi. Ma perché i due giovani avevano alla fine accettato di montare tutto questo inghippo? Bisogna tornare al capitolo sesto, quando la bella idea viene ad Agnese: “Ascoltate e sentirete. Bisogna aver due testimoni ben lesti e ben d’accordo. Si va dal curato: il punto sta di chiapparlo all’improvviso, che non abbia tempo di scappare. L’uomo dice: signor curato, questa è mia moglie; la donna dice: signor curato, questo è mio marito. Bisogna che il curato senta, che i testimoni sentano; e il matrimonio è bell’e fatto, sacrosanto come se l’avesse fatto il papa. Quando le parole son dette, il curato può strillare, strepitare, fare il diavolo; è inutile; siete marito e moglie”.
Manzoni annota subito dopo che Agnese diceva il vero, e che quella soluzione era stata adottata da molte coppie a cui, per una ragione o per l’altra, veniva rifiutato un matrimonio regolare. Non aggiunge, perché pensava che tutti ricordassero a memoria il catechismo, che tutto questo era possibile perché, mentre il ministro della cresima o è vescovo o niente, mentre il ministro dell’estrema unzione deve essere un sacerdote, mentre il ministro del battesimo può essere chiunque non sia il battezzando, i ministri del matrimonio sono gli sposi stessi. Nel momento in cui, con sincera intenzione, si dichiarano uniti per sempre, essi sono sposati. Il parroco, il capitano della nave, il sindaco sono solo i notai della faccenda.
E’ interessante riflettere su questo punto dottrinale perché getta una luce diversa sulla faccenda dei Pacs. So benissimo che quando si parla di Pacs si pensa sia alle unioni eterosessuali che a quelle omosessuali. Sulla seconda faccenda la Chiesa ha le idee che ha, e non ammetterebbe un matrimonio tra omosessuali neppure se fosse fatto (orrore) in chiesa. Ma per l’unione di due eterosessuali, se essi si registrano in qualche modo dichiarando la loro intenzione di convivere sino a che morte (o divorzio) non li separi, dal punto di vista del catechismo essi sono marito e moglie.
Si dirà: il matrimonio riconosciuto dalla Chiesa è quello fatto in chiesa, mentre la regolamentazione di una unione di fatto sarebbe come un matrimonio civile. Ma non siamo più ai tempi del vescovo di Prato, e nessun sacerdote caccerebbe di chiesa due sposati col rito civile gridando che sono concubini. Solo che con la formula dei Pacs i due problemi (etero ed omo) sono presentati insieme, e la preoccupazione omofobica fa aggio sulla lucidità catechistica ()
(Umberto Eco, Sui Pacs state a sentire Agnese, La bustina di Minerva, L’Espresso, 2005)”
Dopo le polemiche che hanno agitato il centrosinistra, Romano Prodi torna a farsi sentire sul destino delle famiglie e delle coppie di fatto. Lo fa con una lettera pubblicata su Famiglia cristiana, nella quale la chiusura è abbastanza netta sui matrimoni gay. «Non ho mai sostenuto l’opportunità e la possibilità di matrimoni tra persone dello stesso sesso, né è mia intenzione proporre provvedimenti che mettano minimamente in discussione la famiglia», spiega.
E sulle unioni gay il Professore precisa ancora: «In tempi non sospetti ho pubblicamente dichiarato che ero contrario al loro riconoscimento nella forma del matrimonio e dell’unione coniugale. Nelle sedi nazionali e internazionali mi sono espresso pubblicamente perché si seguisse una linea diversa da quella seguita da Zapatero in Spagna. Questo non significa che anche nei casi di unioni tra persone dello stesso sesso non vi siano ingiustizie da sanare, affinché si abbia un completo rispetto delle scelte individuali che non possono essere socialmente discriminate».
Nella missiva al settimanale cattolico, il leader dell’Unione torna poi sulla proposta, criticata da Rutelli, di dar vita a dei Patti di solidarietà sociale (Pacs), per lamentare il fatto che gli siano state attribuite «posizioni non corrispondenti al mio pensiero e che ho giudicato offensive». «Ho sempre ritenuto che la famiglia fosse la prima più originaria e fondamentale comunità naturale. E ciò si accorda con lo spirito attuale della nostra Costituzione repubblicana», argomenta il Professore. Che aggiunge: «Oggi lo sviluppo di nuovi modelli familiari e di nuovi modelli di convivenza, in particolare le unioni di fatto, ma anche le unioni tra persone dello stesso sesso, interpella il legislatore, stretto tra l’esigenza di difendere e promuovere l’istituto familiare e la necessitá di fare i conti con tali trasformazioni e con i nuovi bisogni che da esse derivano. Nessuno vuole e può, non io certamente, conformare i nuovi modelli di convivenza all’istituto familiare».
(da Il Corriere della sera, 19 settembre 2005)
ROMA – La convivenza “more uxorio” non può essere assimilata alla famiglia. Lo ha sottolineato Camillo Ruini aprendo i lavori del Consiglio episcopale permanente. Secondo il cardinale non solo lo afferma la Costituzione, ma tale concetto è stato confermato varie volte dalla stessa corte costituzionale, il che esclude «parificazione di trattamento» fra matrimonio e convivenza. Lo ha sottolineato questo pomeriggio, l’organo di governo della Chiesa italiana. Ruini ha anche precisato che molte convivenze si pongono nella prospettiva di un matrimonio, mentre altre unioni di fatto fra uomo e donna o gay, vogliono restare nell’anonimato.
«La nostra stessa Costituzione del resto come ben sappiamo – ha affermato il cardinale- nell’art. 29 intende con univoca precisione la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio” e ne riconosce i diritti. Per conseguenza la Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato che la convivenza more uxorio non può essere assimilata alla famiglia, così da desumerne l’esigenza di una parificazione di trattamento». In linea generale tuttavia, secondo Ruini, «la grande maggioranza delle unioni tra persone di sesso diverso si colloca nella previsione di un futuro possibile matrimonio, oppure vuole restare in una posizione di anonimato e assenza di vincoli. Anche le, assai meno numerose, unioni omosessuali non sempre sono alla ricerca di riconoscimenti legali: anzi, molte di loro ne rifuggono per principio e desiderano rimanere un fatto esclusivamente privato. Confermano tutto ciò i numeri davvero minimi delle iscrizioni ai «registri delle unioni civili in quei comuni italiani che hanno voluto istituirli».
«Non vi è alcun reale bisogno»di norme che, come i «Pacs istituiti in Francia», potrebbero portare ad un «piccolo matrimonio», che «produrrebbe al contrario un oscuramento della natura e del valore della famiglia e un gravissimo danno al popolo italiano». E’ quanto ha detto il card. Camillo Ruini al consiglio permanente dei vescovi italiani. ».”
(da Il Corriere della Sera, 20 settembre 2005)
Art. 1
(Finalità)
1. La presente legge garantisce l’attuazione del diritto inviolabile dell’uomo e della donna alla piena realizzazione personale, nell’ambito di una coppia, nel rispetto delle sue inclinazioni e della sua dignità sociale, in attuazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione.
Art. 2
(Definizioni)
1. Ai fini della presente legge si intende per:
1) «patto civile di solidarietà»: l’accordo tra due persone di sesso diverso o dello stesso sesso, volto a regolare i rapporti personali e patrimoniali relativi alla loro vita in comune;
2) «unione di fatto»: la convivenza stabile e continuativa tra due persone, di sesso diverso o dello stesso sesso, che conducono una vita di coppia.
Art. 3
(Presupposti)
1. Non può contrarre un patto civile di solidarietà chi è vincolato da un precedente matrimonio o patto civile di solidarietà iscritto nei registri dello stato civile.
2. Non possono contrarre un patto civile di solidarietà:
1) gli ascendenti e discendenti in linea retta, legittimi o naturali.
2) i fratelli o le sorelle germani, consanguinei o uterini, anche se il rapporto dipende da filiazione naturale
3) gli affini in linea retta; il divieto sussiste anche nel caso in cui l’affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo o sciolto o per il quale è stata pronunziata la cessazione degli effetti civili;
4) ladottante, ladottato e i suoi discendenti
5) i figli adottivi della stessa persona
6) ladottato e i figli delladottante
7) ladottato e il coniuge delladottante, ladottante e il coniuge delladottato
I divieti contenuti nei numeri 4), 5), 6), 7) sono applicabili allaffiliazione.
3. Si applica l’articolo 87 quarto, quinto e sesto comma del codice civile nel caso in cui i contraenti il patto civile di solidarietà siano di sesso diverso.
4. Non possono contrarre un patto civile di solidarietà le persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra o sulla persona alla quale l’altra era legata da un patto civile di solidarietà.
5. Non possono altresì contrarre un patto civile di solidarietà le persone delle quali l’una è stata rinviata a giudizio ovvero sottoposta a misura cautelare per i reati di cui al comma precedente.
6. La mancanza dei presupposti di cui al presente articolo comporta la nullità del patto civile di solidarietà. La nullità può essere dichiarata su istanza di chiunque vi abbia interesse o del Pubblico ministero.
Art. 4
(Costituzione del patto civile di solidarietà)
1. Ferme le disposizioni di cui all’articolo 3, il patto civile di solidarietà deve essere sottoscritto, a pena di nullità, davanti all’ufficiale dello stato civile presso il comune di residenza di uno dei contraenti, ovvero davanti al notaio territorialmente competente in ragione della residenza di uno dei contraenti. ()
Art. 10
(Rapporti personali)
1. Ciascun contraente è tenuto a comportarsi secondo buona fede e correttezza, collaborando alla vita di coppia in ragione delle proprie capacità e possibilità.
Art. 11
(Regime patrimoniale)
1. Salvo diversa volontà delle parti, ciascun contraente è tenuto a provvedere alle esigenze economiche della coppia in ragione delle proprie sostanze e della propria capacità lavorativa.
2. Salvo diversa volontà delle parti, le stesse sono solidalmente obbligate nei confronti dei terzi per i debiti contratti, anche disgiuntamente, per soddisfare le esigenze della vita di coppia. ()”
(Proposta di legge sui PACS presentata dallon. Franco Grillini, DS)