Quel salto verso la libertà di Ondina e Margherita
9 Agosto 2018Genova per noi – di Laura Alberico
15 Agosto 2018Nella Divina Commedia di Dante è evidente la contrapposizione tra bene e male, il primo rappresentato ideologicamente dal Paradiso, il secondo dall’Inferno. Tra questi Dante interpone un luogo di passaggio, il Purgatorio, dove ci sono peccatori non peggiori di quelli dell’inferno, ma qui c’è spazio solo per la riflessione e il pentimento, perché attraverso il cammino, il pellegrinaggio verso Dio, l’anima aspira alla redenzione. Il male nella sua concretezza visibile è il buio, quello dell’oscurità della selva infernale, dal quale sono bandite le stelle. Essendo il male un concetto relativo, è naturale chiedersi come abbia fatto Dante a distinguere le varie specie di peccati, a determinare la gravità delle colpe e delle pene dell’Inferno. Dante seguì Aristotele, che distinse i peccati in ordine crescente di gravità: incontinenza, violenza e malizia; Infatti nei primi 5 cerchi dell’Inferno sono puniti i peccati di incontinenza, poi nel basso Inferno ci sono i peccati di violenza e infine quelli di malizia o frode. Il male per Dante è l’eccesso, la smoderatezza, la mancanza di senso della misura; infatti in questo senso il male può assumere aspetti differenti, ad esempio è amore quando diventa sessualità sfrenata, non sorretta da alcuna moralità, come la lussuria di Paolo e Francesca del canto 5; è l’ingordigia di chi sfoga le sue brame edonistiche sul cibo, come i golosi del terzo cerchio dell’Inferno o della sesta cornice del Purgatorio; è lasciarsi danneggiare dai fumi dell’ira del quinto cerchio infernale. Inoltre si snoda in tantissime altre forme, in quanto tutto può essere male se viene eseguito o pensato come tale. Nel nono canto dell’Inferno Dante e Virgilio entrano nelle mura della città del male, Dite, dove sono puniti gli eretici, chiusi in tombe infuocate. In questa città sono puniti anche i violenti del settimo cerchio, di questi i più emblematici sono gli omicidi che sono immersi nel fiume di sangue, Flegetonte, che rappresenta il sangue che essi sparsero in vita e che nell’Inferno è l’elemento della loro sofferenza. L’inferno si conclude (cap. 34 v 139) con la frase “E quindi uscimmo a riveder le stelle” , quindi dopo aver considerato tutto il male che si nasconde nel nostro cuore si rischia di sprofondare nella disperazione, ma allo stesso tempo ci si apre al “desiderio” di vedere quel male sparire e trasformarsi in bene.