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28 Dicembre 2019I versi finali del 5 maggio, l’ode scritta da Alessandro Manzoni per commemorare la morte di Napoleone Bonaparte, rappresentano una riflessione profonda sulla vita, la gloria, e la condizione umana.
L’opera è una delle più alte espressioni della poesia manzoniana e offre un giudizio complesso e sfumato sulla figura di Napoleone, mescolando storia, fede e destino.
Introduzione ai versi
I versi finali di quest’opera rappresentano il culmine della riflessione manzoniana su Napoleone. Dopo aver tracciato i momenti più salienti della sua vita, Manzoni si concentra sul bilancio della gloria terrena e sull’inevitabile giudizio di Dio. L’ode si chiude con un’immagine toccante della redenzione finale di Napoleone, ormai lontano dalle battaglie e dal potere, e affida al Creatore il giudizio definitivo sulla sua vita. La gloria terrena svanisce, ma la fede immortale offre una possibilità di riscatto spirituale.
Analisi e commento
1. Il dilemma della gloria:
Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
In questi primi versi, Manzoni solleva la domanda cruciale: fu vera gloria quella di Napoleone? Lascia però il giudizio agli storici futuri, i “posteri”, poiché stabilire con certezza se la sua gloria sia giustificata o meno è un’impresa ardua. Per noi, contemporanei, non resta che chinare il capo di fronte al volere di Dio (“Massimo Fattor”), che ha deciso di imprimere in Napoleone un segno del proprio spirito, una “vasta orma” del Suo potere. In questa prospettiva, la grandezza di Napoleone non deriva da una sua forza intrinseca, ma dalla volontà divina che l’ha reso uno strumento nella storia.
2. L’esperienza umana completa:
La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;
Manzoni descrive l’irrequieta e tempestosa gioia provata da chi è impegnato in un’impresa grandiosa, in questo caso quella di Napoleone. Egli sentiva dentro di sé l’ansia di chi non sa adattarsi a una vita di sottomissione e obbedienza, ma pensa sempre al “regno”, cioè al potere. Qui emerge la dimensione tragica e titanica della figura di Napoleone: il suo destino era quello di desiderare qualcosa che per chiunque altro sarebbe stato folle sperare, ma che lui, con il suo genio e la sua volontà, ha effettivamente raggiunto.
Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.
Napoleone ha vissuto ogni tipo di esperienza umana ed è stato sia vittorioso che sconfitto. Ha conosciuto il trionfo e l’umiliazione (“due volte nella polvere, due volte sull’altar”), il potere della regalità e la tristezza dell’esilio. Questo dualismo tra gloria e caduta, vittoria e sconfitta, caratterizza l’esistenza di Napoleone come una parabola estrema dell’esperienza umana.
3. La solitudine del potere:
Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato,
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.
Napoleone si autoproclamò imperatore e divenne una figura dominante tra due secoli in conflitto (“due secoli, l’un contro l’altro armato”). Tutti guardavano a lui come se aspettassero il destino stesso. Manzoni sottolinea la grandezza del ruolo storico di Napoleone, che si pose come arbitro tra epoche e popoli. Tuttavia, questa grandezza è anche solitaria, e ciò richiama la solitudine del potere assoluto.
4. Il declino e la redenzione:
E sparve, e i dì nell’ozio
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.
Alla fine, Napoleone “sparve” e chiuse i suoi giorni nell’ozio dell’esilio a Sant’Elena, confinato su una piccola isola. La sua vita e la sua morte diventano il simbolo di sentimenti contrastanti: l’invidia per la sua potenza, la pietà per la sua fine, l’odio per i suoi atti, e l’amore per la sua figura leggendaria. Napoleone, pur nella sua caduta, rimane una figura di infinita ambiguità morale, capace di suscitare passioni inconciliabili.
5. La redenzione divina:
Ahi! forse a tanto strazio
Cadde lo spirto anelo,
E disperò: ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;
In questo passaggio, Manzoni descrive il tormento finale di Napoleone. Forse egli crollò sotto il peso del suo dolore e disperò, ma una mano divina lo raggiunse e lo trasportò verso un’aria più leggera e spirituale, verso la pace. Questo è un chiaro riferimento alla redenzione offerta dalla fede: anche un uomo che ha sperimentato tutto, dalla gloria al disonore, può trovare sollievo e speranza grazie alla misericordia divina.
E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre
La gloria che passò.
Manzoni immagina che Napoleone, alla fine, sia stato condotto verso i campi eterni della speranza, dove il premio che attende è superiore a qualsiasi desiderio terreno. La gloria terrena, così effimera e transitoria, diventa silenziosa e buia, mentre ciò che conta davvero è la pace e la redenzione nell’aldilà.
Parafrasi
Fu vera gloria? La risposta è troppo difficile, lasciamola ai posteri. Noi, umilmente, ci inchiniamo di fronte a Dio, che ha voluto imprimere in Napoleone un segno del suo spirito divino. Egli ha conosciuto l’esultanza inquieta di un grande progetto, il desiderio insoddisfatto del potere, e ha ottenuto un premio che sembrava impossibile sperare. Ha sperimentato tutto: la gloria dopo il pericolo, la vittoria e la fuga, la regalità e l’esilio, conoscendo sia la polvere che l’altare. Ha dominato due secoli in guerra, ponendosi come arbitro tra essi. Alla fine è scomparso, chiudendo i suoi giorni nell’esilio, lasciando dietro di sé invidia, pietà, odio e amore. Forse il suo spirito cadde nella disperazione, ma la misericordia divina lo raggiunse e lo condusse verso la pace eterna, dove la gloria terrena è dimenticata.
Conclusione
I versi finali del 5 maggio riflettono la tensione tra la grandezza terrena e il destino eterno. Manzoni, pur riconoscendo la straordinaria figura di Napoleone, sottolinea come la vera pace e il giudizio finale non possano essere trovati nella gloria effimera del mondo, ma solo nella redenzione offerta dalla fede in Dio.
Testo dei versi 31-108 del 5 Maggio di Manzoni:
Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito 35
Più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno; 40
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;
Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria, 45
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato, 50
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio 55
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor. 60
Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere 65
Prode remote invan;
Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese, 70
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei, 75
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli, 80
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio 85
Cadde lo spirto anelo,
E disperò: ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò; 90
E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre 95
La gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
Chè più superba altezza 100
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita, 105
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò. 108