Ma che aspettate a batterci le mani cover da una canzone di Dario Fo
28 Dicembre 2019Ho visto un re cover
28 Dicembre 2019La prima lettera a Lucilio di Seneca, in cui l’autore affronta il tema della percezione del tempo e della brevità della vita
Si tratta di un testo profondamente filosofico, poiché Seneca appartiene alla corrente dello stoicismo romano, una scuola di pensiero di cui Seneca è uno dei principali esponenti. In questa lettera, Seneca si rivolge al suo amico e discepolo Lucilio per insegnargli un’importante lezione: non è la vita a essere troppo breve, ma è l’uomo che la spreca. Questo pensiero costituisce l’asse centrale della sua riflessione sul tempo e sull’uso virtuoso di esso.
Introduzione al testo
Il tema della lettera è immediatamente chiaro: molti si lamentano della brevità della vita, attribuendo la colpa alla natura, che avrebbe concesso troppo poco tempo all’uomo. Seneca confuta questa idea, che ritiene una protesta sbagliata, affermando che la vita è in realtà sufficientemente lunga per conseguire grandi risultati, se solo fosse gestita in modo saggio. La vera causa della brevità percepita della vita non è esterna, ma deriva da come le persone usano il loro tempo. L’inattività, i piaceri eccessivi, l’ambizione, la dipendenza dai giudizi altrui, e la brama di guadagni sono tutte distrazioni che impediscono agli uomini di vivere veramente.
Spiegazione
Seneca inizia con una constatazione apparentemente ovvia: molti si lamentano della brevità della vita. Non solo le persone comuni, ma anche grandi uomini del passato hanno espresso preoccupazioni su questo tema, come Aristotele e Ippocrate. Il primo si chiede perché gli animali vivano più a lungo dell’uomo, il secondo lamenta come l’arte della medicina richieda più tempo di quanto ne abbia un medico per impararla. Seneca respinge questa prospettiva con una frase molto forte: “Non abbiamo poco tempo, ma ne sprechiamo molto”. Afferma che, se fosse utilizzata correttamente, la vita è abbastanza lunga per realizzare cose importanti.
La parte centrale del testo mette in evidenza come molte persone vivano distratte da attività futili: la ricerca incessante di ricchezza, l’ansia di piacere agli altri, la brama di potere, e altre occupazioni vane che le allontanano dalla vera comprensione di sé e dall’uso virtuoso del proprio tempo. C’è una feroce critica alle vite consumate nell’inseguimento di beni materiali o riconoscimenti sociali. Secondo Seneca, le persone sono talmente assorbite da queste attività che, al momento della morte, si accorgono di non aver mai vissuto realmente. La vera vita, afferma, non è data dal mero passare del tempo, ma dal suo uso consapevole e virtuoso.
Analisi
La lettera rappresenta un condensato di alcune delle principali idee dello stoicismo, che è fondato su valori come il dominio delle passioni, la virtù morale, e il distacco dai beni materiali. Seneca invita il lettore a riflettere sul concetto del “tempo” e su come venga mal gestito, offrendoci un esempio lampante di uno dei capisaldi del pensiero stoico: l’autocontrollo e la consapevolezza. Per Seneca, non c’è nulla di più prezioso del tempo, poiché è l’unica risorsa che, una volta sprecata, non può essere recuperata.
L’autore fa una critica tagliente al modo in cui le persone dedicano il loro tempo agli altri o a cose futili, perdendo di vista il vero obiettivo della vita: vivere in accordo con la propria natura e dedicarsi alla crescita personale. A questo si oppone la tendenza comune di investire la vita in obiettivi materiali o frivoli, tralasciando l’introspezione e lo sviluppo della saggezza, che per gli stoici rappresenta l’essenza della virtù.
L’esempio della ricchezza è significativo: così come le grandi fortune affidate a padroni dissoluti vengono dilapidate, anche il tempo, quando viene sprecato, si dissolve rapidamente. Ma se le ricchezze, anche se piccole, sono affidate a un buon custode, esse si moltiplicano; lo stesso vale per il tempo, che, se utilizzato saggiamente, permette di compiere grandi cose.
Commento
Il messaggio di Seneca è sorprendentemente moderno e rilevante: in un’epoca, la nostra, in cui le persone sono sovraccariche di impegni e distrazioni (social media, obblighi lavorativi, preoccupazioni materiali), il pensiero stoico offre una prospettiva di vita consapevole e centrata sull’essenziale. La sua critica al consumismo del tempo si adatta perfettamente alle dinamiche frenetiche del mondo contemporaneo, dove molti sentono di “non avere tempo”, ma in realtà lo sprecano in attività prive di valore reale.
Una delle frasi più potenti della lettera è: “Tamquam semper victuri vivitis, numquam vobis fragilitas vestra succurrit”, che tradotta significa: “Vivete come se doveste vivere per sempre, e non vi viene mai in mente la vostra fragilità”. Questa osservazione colpisce profondamente, poiché rappresenta l’atteggiamento dell’uomo che si illude di avere un tempo infinito a disposizione, procrastinando ciò che è davvero importante fino al punto di non ritorno. Questa procrastinazione esistenziale è uno dei vizi che Seneca cerca di combattere con forza.
In conclusione, la prima lettera a Lucilio è un invito a prendere controllo del proprio tempo, a vivere in modo autentico e consapevole, riconoscendo che ogni giorno sprecato è una porzione di vita persa per sempre. Seneca ci esorta a vivere pienamente nel presente, a non rimandare le scelte importanti e a valorizzare il tempo come la risorsa più preziosa che abbiamo.
Testo:
[1] Maior pars mortalium, Pauline, de naturae malignitate conqueritur, quod in exiguum aevi gignimur, quod haec tam velociter, tam rapide dati nobis temporis spatia decurrant, adeo ut exceptis admodum paucis ceteros in ipso vitae apparatu vita destituat. Nec huic publico, ut opinantur, malo turba tantum et inprudens vulgus ingemuit: clarorum quoque virorum hic adfectus querellas evocavit. Inde illa maximi medicorum exclamatio est, “Vitam brevem esse, longam artem”; inde Aristotelis cum rerum naturā exigentis minime conveniens sapienti viro lis est: “aetatis illam animalibus tantum indulsisse ut quina aut dena saecula educerent, homini in tam multa ac magna genito tanto citeriorem terminum stare.” Non exiguum temporis habemus, sed multum perdimus. Satis longa vita et in maximarum rerum consummationem large data est, si tota bene conlocaretur; sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit, ubi nulli bonae rei inpenditur, ultimā demum necessitate cogente quam ire non intelleximus transisse sentimus. Ita est: non accipimus brevem vitam sed facimus nec inopes eius sed prodigi sumus. Sicut amplae et regiae opes, ubi ad malum dominum pervenerunt, momento dissipantur, at quamvis modicae, si bono custodi traditae sunt, usu crescunt, ita aetas nostra bene disponenti multum patet. [2] Quid de rerum naturā querimur? Illa se benigne gessit: vita, si uti scias, longa est. At alium insatiabilis tenet avaritia, alium in supervacuis laboribus operosa sedulitas; alius vino madet, alius inertiā torpet; alium defetigat ex alienis iudiciis suspensa semper ambitio, alium mercandi praeceps cupiditas circa omnis terras, omnia maria spe lucri ducit; quosdam torquet cupido militiae, numquam non aut alienis periculis intentos aut suis anxios; sunt quos ingratus superiorum cultus voluntariā servitute consumat; multos aut adfectatio alienae fortunae aut suae querella detinuit; plerosque nihil certum sequentis vaga et inconstans et sibi displicens levitas per nova consilia iactavit; quibusdam nihil quo cursum derigant placet, sed marcentis oscitantisque fata deprendunt, adeo ut quod apud maximum poetarum more oraculi dictum est verum esse non dubitem: “exigua pars est vitae quā vivimus.” Ceterum quidem omne spatium non vita sed tempus est. Urgent et circumstant vitia undique nec resurgere aut in dispectum veri attollere oculos sinunt, sed mersos et in cupiditatem infixos premunt. Numquam illis recurrere ad se licet; si quando aliqua fortuito quies contigit, velut profundum mare, in quo post ventum quoque volutatio est, fluctuantur, nec umquam illis a cupiditatibus suis otium est. De istis me putas dicere quorum in confesso mala sunt? aspice illos ad quorum felicitatem concurritur: bonis suis offocantur. Quam multis divitiae graves sunt! quam multorum eloquentia et cotidiana ostentandi ingenii occupatio sanguinem educit! quam multi continuis voluptatibus pallent! quam multis nihil liberi relinquit circumfusus clientium populus! Omnis denique istos ab infimis usque ad summos pererra: hic advocat, hic adest, ille periclitatur, ille defendit, ille iudicat, nemo se sibi vindicat, alius in alium consumitur. Interroga de istis quorum nomina ediscuntur, his illos dinosci videbis notis: ille illius cultor est, hic illius; suus nemo est. Deinde dementissima quorundam indignatio est: queruntur de superiorum fastidio, quod ipsis adire volentibus non vacaverint! Audet quisquam de alterius superbiā queri qui sibi ipse numquam vacat? Ille tamen te, quisquis es, insolenti quidem vultu sed aliquando respexit, ille aures suas ad tua verba demisit, ille te ad latus suum recepit: tu non inspicere te umquam, non audire dignatus es. Non est itaque quod ista officia cuiquam inputes, quoniam quidem, cum illa faceres, non esse cum alio volebas sed tecum esse non poteras. [3] Omnia licet quae umquam ingenia fulserunt in hoc unum consentiant, numquam satis hanc humanarum mentium caliginem mirabuntur. Praedia sua occupari a nullo patiuntur et, si exigua contentio est de modo finium, ad lapides et arma discurrunt: in vitam suam incedere alios sinunt, immo vero ipsi etiam possessores eius futuros inducunt. Nemo invenitur qui pecuniam suam dividere velit: vitam unusquisque quam multis distribuit! Adstricti sunt in continendo patrimonio, simul ad iacturam temporis ventum est, profusissimi in eo cuius unius honesta avaritia est. Libet itaque ex seniorum turbā comprendere aliquem: “pervenisse te ad ultimum aetatis humanae videmus, centesimus tibi vel supra premitur annus: agedum ad computationem aetatem tuam revoca. Duc quantum ex isto tempore creditor, quantum amica, quantum rex, quantum cliens abstulerit, quantum lis uxoria, quantum servorum coercitio, quantum officiosa per urbem discursatio; adice morbos quos manu fecimus, adice et quod sine usu iacuit: videbis te pauciores annos habere quam numeras. Repete memoriā tecum quando certus consilii fueris, quotus quisque dies ut destinaveras cesserit, quando tibi usus tui fuerit, quando in statu suo vultus, quando animus intrepidus, quid tibi in tam longo aevo facti operis sit, quam multi vitam tuam diripuerint te non sentiente quid perderes, quantum vanus dolor, stulta laetitia, avida cupiditas, blanda conversatio abstulerit, quam exiguum tibi de tuo relictum sit: intelleges te inmaturum mori.” Quid ergo est in causā? Tamquam semper victuri vivitis, numquam vobis fragilitas vestra succurrit, non observatis quantum iam temporis transierit; velut ex pleno et abundanti perditis, cum interim fortasse ille ipse qui alicui vel homini vel rei donatur dies ultimus sit. Omnia tamquam mortales timetis, omnia tamquam inmortales concupiscitis. Audies plerosque dicentes: “a quinquagesimo anno in otium secedam, sexagesimus me annus ab officiis dimittet.” Et quem tandem longioris vitae praedem accipis? Quis ista sicut disponis ire patietur? Non pudet te reliquias vitae tibi reservare et id solum tempus bonae menti destinare quod in nullam rem conferri possit? Quam serum est tunc vivere incipere cum desinendum est! Quae tam stulta mortalitatis oblivio in quinquagesimum et sexagesimum annum differre sana consilia et inde velle vitam inchoare quo pauci perduxerunt! |
Traduzione:
[1] La maggior parte degli uomini, Lucilio, si lamenta della malignità della natura, perché siamo nati per vivere solo per un breve periodo di tempo e perché questo intervallo di tempo, che ci è concesso, scorre così velocemente e rapidamente, che la vita abbandona tutti tranne pochissimi nel momento stesso in cui si stanno preparando a viverla. Né solo la folla e il popolo ignorante ha pianto per questo male che ritiene comune: anche uomini illustri hanno espresso simili lamentele. Da qui il famoso grido del più grande dei medici: “La vita è breve, l’arte è lunga”. Da qui la protesta di Aristotele, in cui disputa contro la natura, comportamento inappropriato per un uomo saggio: “Essa ha concesso agli animali un ciclo vitale di cinque o dieci secoli, ma all’uomo, che è nato per realizzare grandi imprese, ha imposto un termine così breve.” Non abbiamo poco tempo, ma ne sprechiamo molto. La vita è sufficientemente lunga e generosamente concessa per realizzare grandi cose, se solo la utilizzassimo bene; ma quando scorre nel lusso e nella negligenza, o non viene spesa per nessun buon fine, alla fine ci rendiamo conto, sotto la pressione finale dell’urgenza, che è passata senza che ne fossimo consapevoli. È così: non riceviamo una vita breve, ma la rendiamo breve, e non siamo privi di tempo, ma ne siamo prodighi. Proprio come grandi ricchezze, se finiscono nelle mani di un cattivo padrone, vengono dilapidate in un attimo, mentre, anche se modeste, se affidate a un custode buono, crescono grazie al loro uso. Allo stesso modo, la nostra vita si estende a lungo per chi la gestisce bene. [2] Di cosa ci lamentiamo riguardo alla natura? Essa si è comportata benevolmente: la vita è lunga, se sai usarla. Ma uno è trattenuto da un’insaziabile avidità, un altro è impegnato in lavori inutili e faticosi; uno è intontito dal vino, un altro è paralizzato dalla pigrizia; uno è sempre impegnato con l’ambizione, che dipende costantemente dai giudizi degli altri, un altro è trascinato da un’irrefrenabile brama di commerci che lo conduce attraverso tutte le terre e tutti i mari alla ricerca di guadagni; alcuni sono tormentati dal desiderio di combattere, sempre preoccupati per i pericoli degli altri o ansiosi per i propri; altri vengono consumati dal servile culto dei potenti, in una servitù volontaria; molti sono trattenuti dall’invidia della fortuna altrui o dalle lamentele per la propria; la maggior parte delle persone è gettata in balia del continuo e instabile mutamento di opinioni e idee, senza mai aderire a qualcosa di certo e stabile; alcuni non trovano nulla che li soddisfi e lasciano che il destino li sorprenda, pigri e annoiati. Non dubito che ciò che è stato detto dal più grande dei poeti come fosse un oracolo sia vero: “Una piccola parte della vita è quella che viviamo davvero.” Tutto il resto non è vita, ma solo tempo che passa. I vizi ci circondano e ci attanagliano da ogni lato, non ci permettono di sollevare gli occhi verso la verità e ci schiacciano, tenendoci immersi nelle passioni. Non abbiamo mai la possibilità di ritornare a noi stessi; e se per caso ci capita un attimo di quiete, come il mare dopo una tempesta, anche allora continuiamo a essere in agitazione e non siamo mai liberi dalle nostre passioni. Pensi che io stia parlando di coloro i cui mali sono evidenti? Guarda coloro verso cui tutti corrono per ottenere la felicità: sono soffocati dai loro beni. Quante persone trovano le loro ricchezze un peso insopportabile! Quanti sono consumati dall’eloquenza e dalla fatica quotidiana di esibire il proprio ingegno! Quanti impallidiscono per i piaceri continui! Quanti non hanno un momento libero per se stessi, circondati da una folla di clienti! Esamina infine tutti questi, dai più umili ai più potenti: uno difende, un altro è accusato, uno giudica, un altro è presente in tribunale. Nessuno si dedica a sé stesso, tutti si consumano per gli altri. [3] Domandati delle persone più note: scoprirai che queste persone sono conosciute per essere gli adulatori di qualcun altro. Nessuno appartiene a sé stesso. E poi c’è l’indignazione assurda di alcuni: si lamentano della superbia degli altri potenti perché non sono riusciti a ottenere un’udienza! Come osa qualcuno lamentarsi della superbia altrui, se non trova mai tempo per sé stesso? Quegli altri potenti, chiunque siano, ti hanno forse guardato con un’aria sprezzante, ma a volte ti hanno considerato, ti hanno ascoltato, ti hanno fatto entrare nel loro circolo: tu non ti sei mai degnato di guardarti, di ascoltarti. Non dovresti dunque attribuire il merito di queste gentilezze a nessuno, perché quando facevi queste cose non volevi passare il tempo con altri, ma non riuscivi neppure a passarlo con te stesso. |