Giovanni Ghiselli: professore di greco e latino
27 Gennaio 2019Giusy
27 Gennaio 2019dal Percorso sull’amore nei classici
di Giovanni Ghiselli
Schema concettuale:
L’Antigone di Sofocle (vv. 635-638 e 907-921).
Antigone e la moglie di Intaferne (Erodoto, III 118-119 ).
L’ambiguità del linguaggio drammatico e la difficoltà di capirsi.
Sofocle e Pirandello.
Le nozze e la maternità negate.
Il letto nuziale come contro parte alla tomba.
L’umanesimo di Antigone come condivisione di amore (v. 523). Anche per insegnare è necessario l’amore.
Il matrimonio talora mette in conflitto i figli con i genitori.
L’impossibilità di sposarsi può dipendere da un legame troppo forte, forse patologico, con la famiglia d’origine.
Nell’Antigone di Sofocle, Emone, quando ancora cerca di evitare la rottura con il padre, il tiranno Creonte che ha condannato a morte la sua promessa sposa, gli dice:
“Padre, sono tuo, e tu con le tue buone ragioni/mi dai direttive che certamente io seguirò/Infatti da me nessun matrimonio sarà stimato/più grande da conseguire di te che sei una buona guida” (vv. 635-638).
il matrimonio è un grande travaglio che ostacola le altre relazioni e addirittura gli affetti tra i consanguinei, comunque una gara dura per gli esseri umani:”mevga” ga;r ajgw;n gavmo” ajnqrwvpwn”, sostiene Antifonte sofista[1].
“Il problema del matrimonio è che finisce tutte le notti dopo che si è fatto l’amore, e bisogna tornare a ricostruirlo tutte le mattine prima della colazione” sostiene il dottor Urbino, “il marito” di un romanzo di Màrquez[2] sul quale torneremo.
L’Antigone di Sofocle afferma con insistenza la forza dei vincoli di sangue, tanto che G. Steiner suggerisce di commentare il primo verso della tragedia “O capo davvero fraterno di Ismene, sangue mio”, con i “capitoli dedicati a Ulrich e ad Agathe nell’Uomo senza qualità. …In entrambi i testi, le voci della consanguineità emergono dalle incertezze consolatrici della notte e, allo stesso tempo, cercano di ritornarvi”[3].
Ecco, ad esempio, alcune frasi del romanzo di Musil sul forte sentimento della fratellanza provato dal protagonista:”egli si trovava senza dubbio nella propria pelle ma tuttavia si sentiva attratto fuori di se stesso come se gli venisse assegnato un secondo corpo molto più bello. Perciò quando si fu raddrizzato disse alla sorella:-Adesso ho capito chi sei tu: sei il mio amor proprio!-La frase suonava strana, ma descriveva bene ciò che Ulrich sentiva.-Un vero amor proprio come lo posseggono gli altri mi è sempre mancato, in un certo senso, -egli spiegò.-E adesso mi pare evidente che, per errore o per destino, era personificato in te! – aggiunse senz’altro”[4].
Sofocle, sostiene Hauser, “fin da principio sacrifica l’idea dello stato popolare democratico agli ideali dell’etica nobiliare; e, nella lotta fra il diritto familiare privato e il potere assoluto ed egualitario dello Stato, parteggia risolutamente per l’idea tribale“[5]. Ma la famiglia della ragazza di Sofocle è solo quella di origine, quella del passato. Ella non vuole vivere un futuro con Emone.
I versi più citati per identificare questa scelta sono quelli (904-915) nei quali la ragazza si rivolge al fratello morto e onorato con la sepoltura nonostante i divieti del tiranno. Vediamoli insieme con altri attraverso i quali Antigone dichiara la propria rinuncia alla vita per amore dei suoi morti.
Greco (vv. 891-921)
” O tomba, o talamo (numfeiÌ?on), o dimora/scavata nella terra che mi custodirà per sempre, dove vado/dai miei cari, un grandissimo numero dei quali/morti, Persefone ha preso tra i morti/tra i quali ultima io e di gran lunga nel più cattivo dei modi/discendo, prima che sia giunta al termine la mia porzione di vita/ Però, arrivata tra voi, nutro (trevfw 897) con forza tra le mie speranze/quella che giungerò cara (fivlh, 898) al padre e gradita (prosfilhvÏ,, 898) a te,/madre, e cara (fivlh, 899) a te, capo fraterno/ Poiché di mia mano io vi lavai/quando siete caduti e vi composi (kajkovsmhsa, 901) e vi offrii/le libagioni funebri; e ora, Polinice, per avere/coperto il tuo corpo, ricevo tali ricompense/ Eppure io ti ho reso onore giustamente secondo chi ha senno./Mai infatti se avessi avuto natura di madre di figli/né se fosse andato in putrefazione il mio sposo morto,/mi sarei caricata di questa penosa fatica contro la volontà dei cittadini/ In forza di quale principio (tivnoÏ, novmou, 908) dico questo?/ Lo sposo, morto uno, ce ne sarebbe stato un altro (a[lloÏ,, 909) per me,/e un figlio, da un altro uomo (ajp j a[llou fwtovÏ,, 910), se avessi perduto questo,/ma siccome il padre e la madre sono racchiusi nell’Ade,/non c’è fratello che possa sbocciare mai più/.Secondo tale norma (novmw/, 914) certo, io ho onorato sopra tutti te,/e a Creonte sembrai errare in questo/e osare spaventosi delitti, o capo fraterno./ Ed ora mi trascina dopo avermi afferrata con le mani/priva di talamo, di imeneo, senza che abbia ricevuto/destino di nozze di qualsiasi sorta, né di allattamento di figli,/ma così deserta di amici io la sventurata/scendo viva nelle fosse dei morti/Per avere trasgredito quale legge degli dei? ” .
numfei’on: (891) con il sottinteso dw’ma significa letteralmente “stanza della sposa” (nuvmfh) ed è, con amara ironia, il luogo dove stanno conducendo la ragazza a morire. Ella raggiunge i morti con qualche rimpianto per la vita cui ha rinunciato. Antigone si sente l’ultima (loisqiva) dei Labdacidi. Similmente il quindicenne Hanno Buddenbrook di T. Mann pose una riga sotto il suo nome nell’albero genealogico della famiglia, e quando il padre, il senatore Thomas, lo sgridò chiedendogli la ragione di tale monelleria, “il ragazzo, ritraendosi e portando una mano alla guancia, balbettò:”Credevo….credevo…non dovesse seguire altro“[6].
Con il verbo “nutro” (trevfw, 897) Antigone che ha rinunciato ai figli, rivela, forse senza volere, di avere deviato verso i morti l’istinto della nutrice (trofeuv” ) che la femmina sente sempre molto fortemente. I termini carichi di forza affettiva (fivlh (898)…prosfilhv” (898)…fivlh (899) indicano che tutti i sentimenti buoni della fanciulla sono interni alla cerchia dei consanguinei defunti.
Secondo E. Fromm non riuscire a staccarsi dal proprio sangue è una forma di dismisura e di pazzia. Egli definisce matura la persona che “si è liberata delle figure esteriori del padre e della madre e li ha ricreati in se stessa“[7]. Infatti:” Rimanendo legato alla natura, alla madre o al padre, l’uomo riesce quindi a sentirsi a suo agio nel mondo[8], ma, per la sua sicurezza, paga un prezzo altissimo, quello della sottomissione e della dipendenza, nonché il blocco del pieno sviluppo della sua ragione e della sua capacità di amare. Egli resta un fanciullo mentre vorrebbe diventare un adulto”[9].
–kajkovsmhsa (901) è crasi di kai; ejkovsmhsa, aoristo di kosmevw. Antigone vuole ripristinare il cosmo turbato da Creonte.
Il kovsmo” dei morti è l’onore funebre, mentre il loro cavo” è lo sconciamento cui il tiranno ha condannato il cadavere di Polinice. In fondo anche questo dramma, come tanta parte della letteratura greca rappresenta lo scontro tra Caos e Cosmo. Il corpo umano quando è bello e si trova nel fiore della giovinezza presenta un riflesso della divinità e Antigone, cosmizzando il cadavere, cerca di restituire al fratello un ultimo baluginìo di quella luce.
Alcuni critici considerano i versi dal 905 al 912, o addirittura al 928, aggiunti, magari dallo stesso Sofocle, in risposta all’Alcesti di Euripide dove la moglie dà la vita per il marito.
“Molti studiosi moderni, incoraggiati da un estemporaneo giudizio di Goethe, hanno cercato di togliere ad Antigone quello strano ragionamento, dichiarando spuri quei versi e rimuovendoli, in tutto o in parte, dal contesto.
Pagherei qualche cosa-diceva Goethe in una conversazione del 28 marzo 1827 riferita da Eckermann-, se un valente filologo ci dimostrasse che è interpolato e non genuino. Dopoché l’eroina, nel corso del dramma, ha esposto magnificamente le ragioni del suo atto e mostrato tutta la nobiltà della sua purissima anima, quando poi va alla morte, esce in un motivo assolutamente infelice e che quasi rade il comico. Ciò che ha fatto per il fratello, ella dice, non l’avrebbe fatto se fosse stata madre, per i figlioli morti, non l’avrebbe fatto per il marito morto…Questo è il nudo senso almeno di questo luogo, che, in bocca all’eroina che va alla morte, distrugge il sentimento tragico, e mi sembra molto ricercato, e mi sa persino di calcolo dialettico. Come dicevo, avrei bisogno che un buon filologo ci dimostrasse che quel passo è spurio” (Colloqui con Eckermann , trad. di Eugenio Donadoni, II, pp. 203-204).
Però già Aristotele conosce quei versi (Retorica 1417a32-33); e comunque il caso, analogo, dell’Edipo a Colono [10] dovrebbe scoraggiare quei tentativi”[11].
Questi sono versi non solo sofoclei ma anche del tutto ortodossi nella loro vicinanza a un episodio di Erodoto. Lo storiografo di Alicarnasso, con il quale il drammaturgo ha diversi punti in comune[12], racconta (III 118-119 ) che la moglie del nobile persiano Intaferne, potendo salvare uno solo dei suoi congiunti imprigionati dal re Dario, scelse il fratello. Il monarca allora le domandò per quale ragione avesse abbandonato il marito e i figli, ed ella rispose che di marito e figli poteva averne altri ma, essendole morti i genitori, un altro fatello non poteva nascere in nessun modo (ajdelfeo;” aj;n a[llo” oujdeni; trovpw/ gevnoito, III, 119, 6).
Questo significa l’importanza che i due autori danno ai rapporti di sangue, un rilievo che si può ulteriormente evidenziare confrontando la scelta di queste donne sororali con quella di alcuni personaggi di Euripide, come Medea che uccide il fratello Apsirto per amore di Giasone, o Admeto il quale, per compiacere Alcesti morente, le promette: porterò il lutto vedovile “stugw’n me;n hJv m& e[tikten, ejcqaivrwn d& ejmo;n-patevra”(vv.338-339), detestando quella che mi partoriva e odiando mio padre.
–novmou (v. 908 e novmw/ 914): il principio generale è quello per cui il carattere della propria stirpe secondo alcuni è talmente speciale che nessuno esterno a questa potrà esserci così vicino e congeniale come i nostri consanguinei.
Infatti i Faraoni e i successivi Tolomei si sposavano tra fratelli.
a[llo”a[llou (909-910): se si vuole avere un figlio, un uomo vale un altro in questa concezione per la quale sono importanti solo i rapporti tra i consanguinei.
Locus similis troviamo nel Macbeth, quando la moglie di Macduff dopo avere esecrato lo sposo fuggito dice al figlio:”I can buy me twenty at any market ” (IV, 2), posso comprarmene venti ad ogni mercato.
toiw’/’denovmw/ : (Antigone 913 e 914 secondo tale legge Antigone ha particolarmente onorato il fratello) La parola novmo” in questa tragedia segnala più di altre l’ambiguità dell’affabul’azione drammatica e la conflittualità dei caratteri di Antigone e Creonte.
“In bocca ai diversi personaggi, le stesse parole acquistano significati differenti od opposti, perché il loro valore semantico non è lo stesso nella lingua religiosa, giuridica, politica, comune. Così , per Antigone, novmo” designa il contrario di ciò che Creonte, nelle circostanze in cui è posto, chiama anche lui novmo”. Per la fanciulla il termine significa “norma religiosa”; per Creonte, “editto promulgato dal capo dello Stato”[13].
Altrettanta ambiguità e impossibilità di intendersi viene teorizzata da Pirandello nei Sei personaggi in cerca d’autore ( parte prima) quando il padre dice:”Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono andate dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro! Crediamo d’intenderci; non ci intendiamo mai!”.
Luogo simile si trova nell’ultimo romanzo dell’Agrigentino, Uno, nessuno e centomila [14]: “il guajo è che voi, caro, non s’aprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci; non ci siamo intesi affatto” (p. 39).
Luogo simile si trova nell’ultimo romanzo dell’Agrigentino, Uno, nessuno e centomila [15]: “il guajo è che voi, caro, non s’aprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci; non ci siamo intesi affatto” (p. 39).
Il v. 915 si chiude, con l’invocazione al capo fraterno, come il v. 899.
“Gli interlocutori reali di Antigone sono i suoi morti[16], suo padre, sua madre (si noti al v. 898 l’improvviso scatto alla seconda persona e all’appello diretto), suo fratello Eteocle, e ovviamente, con particolare insistenza, suo fratello Polinice “[17].- a[gei me (916, mi trascina): il soggetto può essere una guardia di Creonte, o Creonte stesso, o addirittura la morte o un suo inserviente dal quale la ragazza si sente afferrata come l’Alcesti di Euripide da Caronte che le grida:”Tiv mevllei”; /ejpeivgou: su; kateivrgei”” (vv. 255-256), Perché indugi? affrettati: tu mi fai perdere tempo.
–a[lektron: formato da aj- privativo e levktron, “letto”; ajnumevnaion da ajnavv e uJmevnaio” (v. 917) privo di canto nuziale già usato al v. 876, sono termini con i quali Antigone compiange il suo destino di moglie e madre mancata.
“Antigone muore vergine cioè non appagata nella sua identità sessuale, nella teleologia implicita del suo essere. Più e più volte, nel suo tormento e nei suoi lamenti, Antigone insiste su questa immaturità crudele, su ciò che le impedirà di essere sposa e madre, le due condizioni supreme dell’esistenza di donna. I versi 915 e seguenti sono quasi insopportabili per la precisione con cui esprimono il dolore: Antigone piange non solo l’annientamento della sua giovane vita, ma l’annientamento dentro di sé di quelle altre vite future che solo una donna può generare. Se nelle simmetrie della condizione mortale esiste una controparte alla tomba, questa è rappresentata dal letto nuziale e dal letto puerperale (così spesso uniti nelle immagini e nelle metafore). Nel quarto stasimo c’è uno strano, sovversivo accenno di consolazione. Il coro ricorda i crimini commessi dalle madri contro figli o contro figliastri. La maternità non è di per sé garanzia di amore e felicità“[18].
Il coro ricorda che Idonea, seconda moglie di Fineo, accecò i due figli nati dalla prima moglie Cleopatra che inflisse loro un ajrato;n e{lkoÏ, (v. 972) unesecranda piaga.
L’inferno, afferma giustamente lo Stariez Zossima non è altro che “la sofferenza di non poter più amare”[19].
Il verso forse più noto ed emblematico dell’Antigone di Sofocle è il 523:” ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei’n e[fun”, certamente non sono nata per condividere l’odio ma l’amore.
Concludo la terza stazione di questo Calvario con due schede che mutuo dal mio commento all’intera tragedia di Sofocle[20].
Amore e umanesimo.
Legge naturale e personale dunque per Antigone è l’inclinazione ad amare, mentre il bando di Creonte è un editto di odio. La fuvsi” di Antigone non riconosce come naturale il khvrugma di Creonte. Tra i sofisti, oltre Antifonte, Ippia di Elide denuncia la discrepanza tra leggi della natura e leggi scritte dagli uomini che sanciscono differenze innaturali.
Nel Protagora di Platone, Ippia afferma:” to; ga;r oJvmoion tw’/ oJmoivw/ fuvsei suggenev” ejstin, oJ de; novmo” tuvranno” wj;n tw’n ajnqrwvpwn polla; para; th; fuvsin biavzetai” (337d), infatti il simile è parente del simile per natura, mentre la legge, essendo tiranna degli uomini, in molti casi commette violenze contro natura.
La legge naturale dell’amore è così forte che la sente anche la parte buona di Edipo “tiranno”:” ajll& eij povlin thvnd j ejxevsws j, ouj moi mevlei” (Edipo re , v. 443), ma se ho salvato questa città, non mi importa.
In queste espressioni gli eroi sofoclei sono “le macchie luminose” cui Nietzsche li assimila nella Nascita della tragedia [21].
macchie luminose per sanare l’occhio offeso dall’orrenda notte” (p. 64) E la notte del caos
Il figlio di Laio nell’Edipo re va in rovina poiché non comprende in tempo che deve anteporre le norme divine a quelle umane ma alcuni versi preludono alla trasfigurazione di Colono. “Edipo sta su un piano più alto di Creonte; e tuttavia precipita rovinosamente, perché anch’egli tenta di vivere in base al criterio secondo cui l’uomo sarebbe la misura di tutte le cose“[22].
Sul significato di “amore” (Antigone, 523) , sentiamo ancora V. Ehrenberg:”Dobbiamo intendere il termine “amore” senza le posteriori implicanze erotiche o cristiane-come e[rw” o come ajgavph-, bensì concepirlo puramente come filiva,- ed infatti tale è la sua designazione in questo passo-, qualora intendiamo captare una delle componenti che agiscono in seno alle leggi non scritte di Antigone. L’amore come filiva, come opposto rispetto all'”odio” o all'”inimicizia” (in greco designati con il medesimo termine), è un vincolo umano che forse appare più vicino all’amicizia che all’amore; esso costituisce il vincolo che unisce gli uomini ed è uno dei fondamenti su cui poggiava la società greca”[23].
Sull’amore umanistico, sull’amore per l’umanità e per la vita, ha scritto parole sante E. Fromm:”In realtà, esiste soltanto l’atto di amare ; e amare è un’attività produttiva, che implica l’occuparsi dell’altro, conoscere, rispondere, accettare, godere, si tratti di una persona, di un albero, di un dipinto, di un’idea. Significa portare la vita, significa aumentare la vitalità dell’altro, persona od oggetto che sia. E’ dunque un processo di autorinnovamento, di autoincremento”[24].
In un altro libro lo psicoanalista sostiene che “Antigone rappresenta l’umanità e l’amore; Creonte, il despota totalitario, l’idolatria dello stato e l’ubbidienza“[25].
Inoltre:”Esiste un umanesimo greco, al quale dobbiamo opere come l’Antigone di Sofocle, una delle più alte tragedie ispirate a quest’atteggiamento; in essa, Antigone rappresenta l’umanesimo e Creonte le leggi disumane che sono opera dell’uomo“[26].
Un’altra espressione di umanesimo è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo nell’Edipo a Colono : “e[xoid& ajnh;r w[n”(v.567), so di essere un uomo. E’ la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile. Il sapere di essere uomo che cosa comporta? Significa incontrare una creatura mezza distrutta come è Edipo vecchio, provarne pietà , incoraggiarla ponendo domande::”kaiv s& oijktivsa”-qevlw jperevsqai, duvsmor j Oijdivpou, tivna-povlew” ejpevsth” prostroph;n ejmou’ t j e[cwn”, vv. 556-558, e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui.
Poi significa ascoltare e comprendere con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte. Mettersi nei panni dell’altro.
“Anche io-dice il re di Atene al mendicante cieco-sono stato allevato fuggiasco come te” (vv.562-563).”Dunque so di essere uomo (e[xoid j ajnh;r w[n) e che del domani nulla appartiene più a me che a te” (vv. 567-568).
Comprendere dunque comporta un processo di identificazione:”Se vedo un bambino in lacrime, cerco di comprenderlo non misurando il tasso di salinità delle sue lacrime, ma rievocando in me i miei sconforti infantili, identificandolo in me e identificandomi in lui. La comprensione, sempre inter-soggettiva, richiede apertura e generosità”[27].
Ascoltare è parte essenziale di questo umanesimo, ascoltare e farsi ascoltare:”Se avrai davanti a te gente cattiva che non vorrà ascoltarti, prosternati davanti ad essa e chiedile perdono, poiché, in verità, anche tu sei colpevole se non vogliono ascoltarti. E se non puoi farti ascoltare dagli uomini ostili, taci e servili con umiltà, senza mai perdere la speranza”[28].
Anche questa dello stariez Zossima è una dichiarazione di quella filanqrwpiva che si diffuse in età ellenistica e partorì l’humanitas latina.
Una simile dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l’uomo e disponibilità ad ascoltarlo, leggiamo nel più famoso verso di Terenzio:” :”Homo sum: humani nil a me alienum puto “[29]. “Il primo peccato mortale, ora credo, è il tradimento della cortesia. Il venir meno dell’ascolto”[30].
Anche Oblomov di Gon?arov nega valore all’intelligenza che non comprende l’umanità:”Voi credete che il pensiero possa fare a meno del cuore. No, il pensiero è reso fecondo dall’amore. Tendete la mano all’uomo caduto per sollevarlo, o piangete lacrime amare su di lui, se egli è finito, ma non lo schernite. Amatelo, riconoscete voi stesso in lui e trattatelo nel modo in cui trattereste voi stessi”(p.53).
Aggiungo che l’amore è necessario anche per essere bravi educatori. L’insegnamento, sostiene Morin, deve ridiventare una missione. L’insegnante deve essere capace di trasmettere:”La trasmissione richiede certamente competenza, ma richiede anche, oltre a una tecnica, un’arte. Essa richiede ciò che nessun manuale spiega, ma che Platone aveva già indicato come condizione indispensabile di ogni insegnamento: l’eros, che è allo stesso tempo desiderio, piacere e amore, desiderio e piacere di trasmettere amore per la conoscenza e amore per gli allievi. L’eros permette di tenere a bada il piacere legato al potere, a vantaggio del piacere legato al donoLà dove non c’è amore, non ci sono che problemi di carriera, di retribuzione, di noia per l’insegnamento. La missione suppone evidentemente la fede, in questo caso la fede nella cultura e nelle possibilità della mente umana”[31].
[1] Intorno alla Concordia fr. 49 Untersteiner.
[2] L’amore ai tempi del colera, p. 222.
[3] Le Antigoni , p. 240.
[4] R. Musil, L’uomo senza qualità , p. 871.
[5] A. Hauser, Storia sociale dell’arte, vol. I, p. 122.
[6] T. Mann, I Buddenbrook , p. 335.
[7] E. Fromm, L’arte d’amare , p. 61.
[8] Non certo nel caso di Antigone, o di Aiace, che comunque fondano l’identità sullimitazione della figura paterna.
[9] E. Fromm, La rivoluzione della speranza , p. 80.
[10] “Altrettanto voluto è, nell’Edipo a Colono , il riferimento ad una notizia erodotea sull’Egitto (II, 25). Essa è fornita inaspettatamente da Edipo nel biasimo che rivolge ai figli che lo hanno abbandonato mentre le figlie lo hanno seguito nella sventura: La loro natura e il loro modo di vita è in tutto simile a quello degli Egizi! Lì i maschi stanno in casa a tessere, e le loro donne vanno sempre fuori a procurare il necessario per vivere (Edipo a Colono , vv. 337-341)”. L. Canfora, Storia Della Letteratura Greca , p. 151).
[11] L. Canfora, Storia Della Letteratura Greca , p. 152.
[12] In primis la venerazione dell’oracolo delfico e il rifiuto della tirannide.
[13]J. P. Vernant, Ambiguità e rovesciamento in Mito e tragedia nell’antica Grecia , pp. 89-90.
[14] Pubblicato a puntate sul settimanale “La fiera letteraria” nel 1926.
[15] Pubblicato a puntate sul settimanale “La fiera letteraria” nel 1926.
[16] Su questo giuste considerazioni si leggono in Reinhardt, Sophokles , p. 91.
[17] V. Di Benedetto, Sofocle , p. 32.
[18] G. Steiner, Le Antigoni , p. 270.
[19] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , p. 405.
[20] Loffredo, Napoli, 2001.
[21] Capitolo IX.
[22] V. Ehrenbeg, Sofocle e Pericle , p. 107.
[23] Op. cit., p. 50.
[24] Avere o essere? , p. 69.
[25] Amore, sessualità e matriarcato , p. 21.
[26] La disobbedienza e altri saggi , p. 63.
[27] E. Morin, op. cit., p.96.
[28] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , p. 403.
[29] Heautontimorumenos ,77.
[30] F. Frasnedi, op. cit., p. 55.
[31] La testa ben fatta , p. 106.
torna all’indice del Percorso sull’amore nei classici