Testo descrittivo
27 Gennaio 2019Dipinti di Antonello da Messina
27 Gennaio 2019appunti di una conferenza del prof. Massimo Donà alla biblioteca di Senago, 01-10-2009, di Alissa Peron
La filosofia nasce dentro un bicchiere di vino
Né l’uno né l’altro nascono in Grecia: la prima nasce con l’umanità (vedi Gilgamesh, vi sono già presupposti filosofici e della sapienza occidentale: uno dei protagonisti passa dallo stato di natura a quello civilizzato, la bestia diventa essere umano grazie ad una cerimonia iniziatica fondata sul vino); nell’antico Egitto il vino aveva un ruolo centrale perché rendeva possibile il rapporto con gli dei, dunque era utilizzato nei riti sacri; ha un ruolo di connessione che ci fa scoprire che noi stessi non siamo semplicemente umani, ma che si agita in noi qualcosa di divino, il vino rende percepibile questa nostra doppia natura. Uno dei furti dei Greci all’Egitto è il dio Dioniso, che da Creta si diffonde in tutta la Grecia ed è l’ultima divinità accettata nella mitologia e nel pantheon greco: appare come un dio che crea scompiglio pur avendo un aspetto innocente di fanciullo dai riccioli biondi (ma in alcune pitture vascolari è inquietante anche d’aspetto, è contraddittorio anche in questo), e la natura ambigua del dio è ben descritta da Euripide nelle Baccanti. Il tragico rappresenta le donne sulle colline intente a celebrare riti orgiastici basati sul vino, e il loro obiettivo è “fare a pezzi l’uomo”, il maschio detentore del potere, che stabilisce la legge, è la metafora del logos cioè della conoscenza, che propriamente è distinzione e separazione delle cose perdendo l’aspetto totale, credendo che esista solo la parte e che ci sia una definizione univoca (principio di non contraddizione); Dioniso mette in questione le distinzioni ed è inevitabile che i suoi effetti siano devastanti. Il vino aiuta ad intendere concretamente e non astrattamente la filosofia, ciò a partire da Dioniso e grazie alla sua figura. E’ il dio della vite, dunque è immediata la connessione con la vita, termine corradicale: la vita è movimento e l’immobilità è metafora della morte, e nella vita ci muoviamo per raggiungere la quiete (Freud), è un paradosso che dimostra quanto la vita non debba mai essere intesa separata dalla morte. Dioniso è divinità doppia, effeminato ma tremendo, che dà la vita e può condurre alla morte come il vino. Nel Simposio di Platone i personaggi riuniti ad un banchetto trattano di Eros, l’amore che anch’esso è movimento che tende alla quiete e porterà i due amanti alla morte. Socrate beve molto vino ma rimane lucido, alla fine entra in scena Alcibiade ubriaco che cerca di provocare Socrate; costui è l’unico sobrio dopo la serata passata a discorrere dell’amore. Dioniso è ciò che rende possibile Eros: Afrodite grazie al vino genera con Ares Armonia ed Eros, in definitiva Eros tende a colmare la nostra finitudine, ad unire le parti che in quanto tali mancano di qualcosa; Armonia è unità che vive nei distinti e grazie ad essi, diversamente da Eros che li annulla e realizza la perfetta unità tra essi, cioè la morte dei distinti. Socrate è diverso dagli altri perché beve e non si ubriaca, e opera uno smascheramento della strategia della verità: Alcibiade indossa una maschera paradossale, perché ciò che sta dicendo è vero, soltanto egli indossa la maschera dell’ubriachezza che non nasconde ma porta alla luce. C’è una verità in noi che può manifestarsi quando ci mascheriamo, quando ci sentiamo liberi, quando esce di noi quella parte divina che ci è connaturata ma che si esprime solo grazie al vino. Socrate dice che la distinzione che utilizza Alcibiade per dire la verità non è in realtà distinzione, egli non esce dalla razionalità ma tocca il fondo della razionalità; ciò è detto dal lucido e razionale Socrate, dunque è giusto che il logos riconosca la propria verità paradossale. Queste riflessioni platoniche anticipano quelle freudiane sulla manifestazione dell’inconscio attraverso i sogni.
L’uomo non ha un luogo naturale come tutte le altre cose, secondo Pico egli può attraversare tutti i luoghi e scegliere in quale collocarsi; ecco quell’ambivalenza che il vino ci fa comprendere nell’esperienza quotidiana. E’ difficile sapere chi siamo, e il vino insegna che quello della conoscenza di noi stessi è un percorso infinito, che non arriverà mai ad una meta: l’esperienza del limite deve essere ogni volta vissuta (quanti bicchieri per andare fuori di testa? chi lo sa?), e la ricerca è continua come quella della filosofia, ci fa capire che non sappiamo nulla o meglio che sappiamo di non sapere come Socrate. Cosa avremmo trovato scoprendo la verità ultima, il fondamento di tutte le conoscenze? Qualcosa che non è fondato su nulla perché in quanto fondamento di tutto è prima, indimostrabile, infondata; siamo noi quella paradossalità che se esplorata fino in fondo ci farebbe precipitare nell’abisso. Baudelaire dà un’anima al vino, lo fa parlare come fosse un essere vivente: come potrebbe non esserlo proprio il vino che dà la vita? Assume un’anima e dà un senso a tutto il nostro dispendio di energie e placa gli affanni.