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28 Dicembre 2019Le ottave finali dell’Orlando Furioso (dall’ottava 124 alla 140 del Canto XLVI) con la morte di Rodomonte, rappresentano la conclusione epica del poema di Ludovico Ariosto.
Queste stanze narrano lo scontro decisivo tra Ruggiero e Rodomonte, un duello che non solo conclude la trama principale del poema, ma simboleggia anche il trionfo della civiltà cristiana sulla barbarie pagana.
Analisi e commento
Il duello e il suo significato
Il duello tra Ruggiero e Rodomonte è descritto con grande intensità e ricchezza di dettagli. Ariosto alterna momenti di azione frenetica a pause riflessive, creando un ritmo narrativo che tiene il lettore con il fiato sospeso fino all’ultimo verso.
Lo scontro non è solo fisico, ma anche simbolico:
- Ruggiero rappresenta la cavalleria cristiana, la civiltà e il destino della casa d’Este.
- Rodomonte incarna la ferocia pagana, la forza bruta e l’orgoglio smisurato.
Tecniche narrative e stilistiche
- Realismo e dettaglio: Ariosto descrive il combattimento con precisione quasi cinematografica, rendendo vivida ogni mossa e contromossa.
- Similitudini: L’autore utilizza potenti similitudini per intensificare la narrazione. Ad esempio, nell’ottava 138, Rodomonte è paragonato a un mastino sotto un feroce alano.
- Tensione crescente: La narrazione costruisce una tensione crescente, culminando nel momento finale del duello.
- Ironia: Sebbene meno evidente in queste ottave finali, l’ironia ariostesca traspare nel modo in cui viene descritto l’orgoglio di Rodomonte, che preferisce morire piuttosto che arrendersi.
Il finale e il suo significato
La morte di Rodomonte (ottava 140) segna non solo la fine del duello, ma anche la conclusione simbolica del poema. L’anima “sdegnosa” che fugge “bestemmiando” rappresenta la sconfitta definitiva del mondo pagano e barbarico di fronte alla civiltà cristiana e cavalleresca.
L’ ottava “chiave” (Ottava 140: la morte di Rodomonte)
Ruggiero, alzando il braccio quanto più poteva, affondò due o tre volte il pugnale nella fronte terribile di Rodomonte, liberandosi così dall’impaccio. L’anima sdegnosa di Rodomonte, che in vita era stata così altera e orgogliosa, fuggì bestemmiando verso le squallide rive dell’Acheronte, liberatasi dal corpo divenuto più freddo del ghiaccio.
Conclusione
Le ottave finali dell’Orlando Furioso rappresentano un capolavoro di narrazione epica. Ariosto riesce a condensare in questi versi non solo l’emozione di un duello mortale, ma anche il significato più profondo del suo poema: il trionfo dell’ordine sulla chaos, della civiltà sulla barbarie, e il compimento del destino eroico di Ruggiero, antenato mitico della casa d’Este.
Testo:
124
Rodomonte per questo non s’arresta,
ma s’aventa a Ruggier che nulla sente;
in tal modo intronata avea la testa,
in tal modo offuscata avea la mente.
Ma ben dal sonno il Saracin lo desta:
gli cinge il collo col braccio possente;
e con tal nodo e tanta forza afferra,
che de l’arcion lo svelle, e caccia in terra.
125
Non fu in terra sí tosto, che risorse,
via piú che d’ira, di vergogna pieno;
però che a Bradamante gli occhi torse,
e turbar vide il bel viso sereno.
Ella al cader di lui rimase in forse,
e fu la vita sua per venir meno.
Ruggiero ad emendar presto quell’onta,
stringe la spada, e col pagan s’affronta.
126
Quel gli urta il destrier contra, ma Ruggiero
lo cansa accortamente, e si ritira,
e nel passare, al fren piglia il destriero
con la man manca, e intorno lo raggira;
e con la destra intanto al cavalliero
ferire il fianco o il ventre o il petto mira;
e di due punte fe’ sentirgli angoscia,
l’una nel fianco, e l’altra ne la coscia.
127
Rodomonte, ch’in mano ancor tenea
il pome e l’elsa de la spada rotta,
Ruggier su l’elmo in guisa percotea,
che lo potea stordire all’altra botta.
Ma Ruggier ch’a ragion vincer dovea,
gli prese il braccio, e tirò tanto allotta,
aggiungendo alla destra l’altra mano,
che fuor di sella al fin trasse il pagano.
128
Sua forza o sua destrezza vuol che cada
il pagan sí, ch’a Ruggier resti al paro:
vo’ dir che cadde in piè; che per la spada
Ruggiero averne il meglio giudicaro.
Ruggier cerca il pagan tenere a bada
lungi da sé, né di accostarsi ha caro:
per lui non fa lasciar venirsi adosso
un corpo cosí grande e cosí grosso.
129
E insanguinargli pur tuttavia il fianco
vede e la coscia e l’altre sue ferite.
Spera che venga a poco a poco manco,
sí che al fin gli abbia a dar vinta la lite.
L’elsa e ’l pome avea in mano il pagan anco,
e con tutte le forze insieme unite
da sé scagliolli, e sí Ruggier percosse,
che stordito ne fu piú che mai fosse.
130
Ne la guancia de l’elmo, e ne la spalla
fu Ruggier colto, e sí quel colpo sente,
che tutto ne vacilla e ne traballa,
e ritto se sostien difficilmente.
Il pagan vuole entrar, ma il piè gli falla,
che per la coscia offesa era impotente:
e ’l volersi affrettar piú del potere,
con un ginocchio in terra il fa cadere.
131
Ruggier non perde il tempo, e di grande urto
lo percuote nel petto e ne la faccia;
e sopra gli martella, e tien sí curto,
che con la mano in terra anco lo caccia.
Ma tanto fa il pagan che gli è risurto;
si stringe con Ruggier sí, che l’abbraccia:
l’uno e l’altro s’aggira, e scuote e preme,
arte aggiungendo alle sue forze estreme.
132
Di forza a Rodomonte una gran parte
la coscia e ’l fianco aperto aveano tolto.
Ruggiero avea destrezza, avea grande arte,
era alla lotta esercitato molto:
sente il vantaggio suo, né se ne parte;
e donde il sangue uscir vede piú sciolto,
e dove piú ferito il pagan vede,
puon braccia e petto, e l’uno e l’altro piede.
133
Rodomonte pien d’ira e di dispetto
Ruggier nel collo e ne le spalle prende:
or lo tira, or lo spinge, or sopra il petto
sollevato da terra lo sospende,
quinci e quindi lo ruota, e lo tien stretto,
e per farlo cader molto contende.
Ruggier sta in sé raccolto, e mette in opra
senno e valor, per rimaner di sopra.
134
Tanto le prese andò mutando il franco
e buon Ruggier, che Rodomonte cinse:
calcògli il petto sul sinistro fianco,
e con tutta sua forza ivi lo strinse.
La gamba destra a un tempo inanzi al manco
ginocchio e all’altro attraversògli e spinse;
e da la terra in alto sollevollo,
e con la testa in giú steso tornollo.
135
Del capo e de le schene Rodomonte
la terra impresse; e tal fu la percossa,
che da le piaghe sue, come da fonte,
lungi andò il sangue a far la terra rossa.
Ruggier, c’ha la Fortuna per la fronte,
perché levarsi il Saracin non possa,
l’una man col pugnal gli ha sopra gli occhi,
l’altra alla gola, al ventre gli ha i ginocchi.
136
Come talvolta, ove si cava l’oro
lá tra’ Pannoni o ne le mine ibere,
se improvisa ruina su coloro
che vi condusse empia avarizia, fere,
ne restano sí oppressi, che può il loro
spirto a pena, onde uscire, adito avere:
cosí fu il Saracin non meno oppresso
dal vincitor, tosto ch’in terra messo.
137
Alla vista de l’elmo gli appresenta
la punta del pugnal ch’avea giá tratto;
e che si renda, minacciando, tenta,
e di lasciarlo vivo gli fa patto.
Ma quel, che di morir manco paventa,
che di mostrar viltade a un minimo atto,
si torce e scuote, e per por lui di sotto
mette ogni suo vigor, né gli fa motto.
138
Come mastin sotto il feroce alano
che fissi i denti ne la gola gli abbia,
molto s’affanna e si dibatte invano
con occhi ardenti e con spumose labbia,
e non può uscire al predator di mano,
che vince di vigor, non giá di rabbia:
cosí falla al pagano ogni pensiero
d’uscir di sotto al vincitor Ruggiero.
139
Pur si torce e dibatte sí, che viene
ad espedirsi col braccio migliore;
e con la destra man che ’l pugnal tiene,
che trasse anch’egli in quel contrasto fuore,
tenta ferir Ruggier sotto le rene:
ma il giovene s’accorse de l’errore
in che potea cader, per differire
di far quel empio Saracin morire.
140
E due e tre volte ne l’orribil fronte,
alzando, piú ch’alzar si possa, il braccio,
il ferro del pugnale a Rodomonte
tutto nascose, e si levò d’impaccio.
Alle squalide ripe d’Acheronte,
sciolta dal corpo piú freddo che giaccio,
bestemmiando fuggí l’alma sdegnosa,
che fu sí altiera al mondo e sí orgogliosa.