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28 Dicembre 2019Prefazione dell’ Amante di Gramigna
28 Dicembre 2019
Nel Canto XII del Paradiso, San Bonaventura esalta la figura di San Domenico e critica alcuni difetti dei francescani dell’epoca.
L’esilio di Dante Alighieri rappresenta uno degli episodi più significativi della sua vita ed ebbe un impatto profondo sulla sua opera letteraria, in particolare sulla Divina Commedia.
Tuttavia, il caso di Dante non fu isolato: l’esilio, nel contesto delle lotte politiche medievali, era un destino comune a molti intellettuali e personaggi di rilievo del tempo.
Infine, non dobbiamo dimenticare che sono ancora molti gli uomini costretti a lasciare il loro paese, esiliati per motivi politici o religiosi.
Il contesto politico dell’esilio di Dante
Dante visse in un periodo di aspre lotte tra fazioni politiche a Firenze, legate al più ampio conflitto tra due schieramenti opposti in tutta Italia e in Europa: i Guelfi e i Ghibellini. I Guelfi erano sostenitori del papato, mentre i Ghibellini appoggiavano l’autorità imperiale. Firenze era storicamente una città guelfa, ma al suo interno la fazione guelfa si era divisa ulteriormente in due gruppi: i Bianchi e i Neri. I Bianchi, di cui faceva parte Dante, erano meno inclini a seguire ciecamente il potere papale e cercavano una maggiore autonomia per Firenze; i Neri, invece, erano i più fedeli al papa, specialmente sotto il pontificato di Bonifacio VIII.
Nel 1300, Dante fu eletto uno dei priori di Firenze, una delle cariche più alte nella città. Durante il suo mandato, però, le tensioni tra Bianchi e Neri continuarono a crescere. In una fase critica, Dante e i suoi colleghi priore presero la decisione di esiliare alcuni membri di entrambe le fazioni per cercare di mantenere la pace, ma la situazione degenerò.
Nel 1301, mentre Dante si trovava a Roma per cercare di negoziare con Bonifacio VIII, i Neri, con l’aiuto delle forze di Carlo di Valois (inviato dal Papa), presero il controllo di Firenze. La fazione dei Bianchi, compreso Dante, fu bandita dalla città. Nel gennaio del 1302, Dante fu ufficialmente condannato all’esilio con l’accusa di corruzione e malversazione, accuse probabilmente politicamente motivate. La condanna fu poi aggravata, includendo la minaccia di essere arso vivo se avesse fatto ritorno a Firenze.
Le conseguenze dell’esilio di Dante
L’esilio segnò un punto di svolta per Dante, che passò i successivi vent’anni vagando per varie città italiane, tra cui Verona, Ravenna e Bologna, vivendo sotto la protezione di signori e famiglie nobili che lo ospitarono. Questa condizione di esule fu una fonte costante di sofferenza per il poeta, non solo sul piano personale, ma anche politico e intellettuale. Si trovò a riflettere profondamente sul concetto di giustizia, di potere e sul ruolo della Chiesa e dell’Impero, temi centrali nella Divina Commedia.
Nel poema, Dante fa spesso riferimento alla sua condizione di esule, associando il proprio dolore a quello di altre figure storiche e mitiche. Nel Paradiso, ad esempio, Cacciaguida (trisavolo di Dante) predice l’esilio del poeta con toni profetici:
«Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.» (Paradiso XVII, vv. 58-60)
Questi versi evocano il dolore dell’esilio attraverso l’immagine del pane salato (non familiare) e la fatica di dipendere dalla generosità altrui.
L’esilio di altri grandi figure storiche
L’esilio di Dante non fu un caso isolato nella storia medievale. Molte altre personalità di spicco dell’epoca vissero la stessa sorte, vittime delle lotte politiche, delle rivalità familiari o delle ambizioni ecclesiastiche. Tra questi:
- Guido Cavalcanti, grande poeta e amico di Dante, anch’egli esiliato durante le lotte tra Bianchi e Neri a Firenze. A differenza di Dante, Guido poté tornare a Firenze, ma morì poco dopo, nel 1300.
- Cangrande della Scala, signore di Verona e protettore di Dante durante parte del suo esilio. Anche lui visse momenti di tensione e di lotta politica, benché riuscì a mantenere il potere nella sua città.
- Farinata degli Uberti, un importante condottiero ghibellino, il cui esilio e successivo ritorno a Firenze lo rendono una figura centrale nel sesto canto dell’Inferno. Il suo dialogo con Dante è emblematico della tragedia degli esuli e della loro incapacità di trovare pace, anche dopo la morte.
L’esilio come tema letterario
L’esilio è un tema centrale non solo nella biografia di Dante, ma anche nella sua poetica e nella sua visione del mondo. Per Dante, l’esilio non è solo una condizione politica e personale, ma un’esperienza esistenziale che simboleggia l’alienazione dell’anima dalla verità e dalla giustizia divina. Nella Divina Commedia, il viaggio di Dante attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso può essere letto come un percorso di ritorno dall’esilio terreno alla vera patria dell’anima, il Paradiso.
Tentativi di ritorno e riconciliazione
Durante i suoi anni di esilio, Dante sperò più volte di poter tornare a Firenze, ma i tentativi di riconciliazione fallirono. Nel 1315, fu offerta a Dante la possibilità di tornare in città, ma alle umilianti condizioni di ammettere pubblicamente la propria colpa e pagare una multa. Dante rifiutò, dichiarando di non voler tornare attraverso un’umiliazione che non meritava.
Dante morì in esilio a Ravenna nel 1321, senza mai più vedere Firenze. Ironia della sorte, secoli dopo la sua morte, Firenze tentò più volte di far riportare i suoi resti nella città, ma Ravenna ha sempre rifiutato di consegnarli.
Conclusione
L’esilio di Dante è stato una delle esperienze più dolorose della sua vita, ma anche una fonte inesauribile di ispirazione per la sua opera. Rappresenta un destino che non colpì solo lui, ma molti uomini di potere e cultura del suo tempo. Tuttavia, la grandezza di Dante sta nell’aver trasformato questa condizione di marginalità in un’opportunità per riflettere sulle profonde verità dell’esistenza umana, rendendo l’esilio non solo una punizione politica, ma una metafora universale del cammino dell’uomo verso la redenzione.