Fine XXIII. Il
canto precedente si conclude con la risposta di Dante alla domanda di Forse
Donati, che vuole sapere come mai si trovi lì, e chi siano i suoi
accompagnatori: Dante risponde e presenta Virgilio e Stazio.
1-33.
Prosegue la conversazione. Dante pone a Forese due domande: dove sia sua
sorella Piccarda; e chi siano le anime più famose di questa cornice. Forese
risponde: Piccarda si trova tra i beati del paradiso; poi indica alcune anime
purganti, dicendone il nome.
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Né ‘l dir l’andar, né l’andar lui più lento
facea, ma ragionando andavam forte,
sì come nave pinta da buon vento;
e l’ombre, che parean cose rimorte,
per le fosse de li occhi ammirazione
traean di me, di mio vivere accorte.
E io, continüando al mio sermone,
dissi: «Ella sen va sù forse più tarda
che non farebbe, per altrui cagione.
Ma dimmi, se tu sai, dov’ è Piccarda;
dimmi s’io veggio da notar persona
tra questa gente che sì mi riguarda».
«La mia sorella, che tra bella e buona
non so qual fosse più, trïunfa lieta
ne l’alto Olimpo già di sua corona».
Sì disse prima; e poi: «Qui non si vieta
di nominar ciascun, da ch’è sì munta
nostra sembianza via per la dïeta.
Questi», e mostrò col dito, «è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
di là da lui più che l’altre trapunta
ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
dal Torso fu, e purga per digiuno
l’anguille di Bolsena e la vernaccia».
Molti altri mi nomò ad uno ad uno;
e del nomar parean tutti contenti,
sì ch’io però non vidi un atto bruno.
Vidi per fame a vòto usar li denti
Ubaldin da la Pila e Bonifazio
che pasturò col rocco molte genti.
Vidi messer Marchese, ch’ebbe spazio
già di bere a Forlì con men secchezza,
e sì fu tal, che non si sentì sazio.
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– facea: rendeva; unico verbo
per: dir, andar, andar;
– forte:
rapidamente; buon vento: allude alla ?buona volontà, di
procedere;
– rimorte: quasi morte due volte;
– per: attraverso le fosse degli
occhi;
– accorte: accortesi;
– Ella: l’anima di Stazio procede
verso il pd terreste;
– forse: forse più lentamente di
quanto non farebbe;
– altrui ragione: per
accompagnare me e Virgilio;
– Piccarda: sorella di Forese,
sarà nel 3° canto del pd;
– da notar: degna di essere
notata;
– Olimpo: il cielo più alto:
l’Empireo;
– corona: la gloria di Dio;
– non si vieta: litote: si deve
nominare
– munta: < mungere: spremuta,
secca;
– via per la dieta: anastrofe:
per via della;
– Trapunta: quasi ?ricamata’
dalla magrezza;
– ebbe: fu Papa Martino IV,
francese di Tours (Torso), vari aneddoti lo descrivono
ghiotto di anguille di Bolsena fatte marinare nella vernaccia (vino);
– contenti: essere ricordati
alim. le loro speranze;
– atto bruno: gesto di
scontentezza;
– a voto: inutilmente;
– Ubaldin: Ubaldino degli
Ubaldini, signore del Castello della Pila, nel Mugello; padre
dell’Arcivescovo Ruggieri;
– Bonifazio: arcivescono vi
Ravenna; rocco: pastorale;
– Marchese: nobile originario di
Forlì;
– secchezza: meno arsura > in
abbondanza;
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La velocità. Le anime dei golosi
sono contraddistinte dalla velocità: dovuta al fatto che vogliono
pentirsi in fretta e raggiungere presto la beatitudine, che è ormai
vicina, dato che ci troviamo nella VI cornice.
Forese. E’ la figura che lega i due
canti XXIII e XXIV: Dante rievoca con lui il suo passato, un po’ lo
rivive, e lo reinterpreta alla luce della nuova consapevolezza
etico-letteraria che nel frattempo Dante ha raggiunto: nel canto XXIII
infatti Dante rievoca la tenzone che si era scambiato con Forese.
Forese ha la funzione d i dare a Dante l’occasione per ritrattare e
rifiutare quel modo plebeo e municipale di fare poesia.
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34-63. Colloquio
con Bonagiunta. Dante rivolge la parola a Bonagiunta, che fa segno di
volergli parlare:
– in primo luogo
Bonagiunta mormora il nome di una certa «Gentucca», una gentildonna che farà
apprezzare a Dante la città di Lucca (profezia);
– in secondo luogo
chiede conferma se Dante è davvero colui che ha inaugurato un nuovo stile con la
canzone Donne ch’avete intelletto d’amore.
Dante conferma, e
aggiunge che il suo stile consiste nel seguire passo passo i dettami d’amore:
Bonagiunta però fraintende, e capisce che la novità dello stile consiste nello
scrivere solo poesie d’amore.
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Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza
più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca,
che più parea di me aver contezza.
El mormorava; e non so che «Gentucca»
sentiv’ io là, ov’ el sentia la piaga
de la giustizia che sì li pilucca.
«O anima», diss’ io, «che par sì vaga
di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda,
e te e me col tuo parlare appaga».
«Femmina è nata, e non porta ancor benda»,
cominciò el, «che ti farà piacere
la mia città, come ch’om la riprenda.
Tu te n’andrai con questo antivedere:
se nel mio mormorar prendesti errore,
dichiareranti ancor le cose vere.
Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
‘Donne ch’avete intelletto d’amore’».
E io a lui: «I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando».
«O frate, issa vegg’ io», diss’ elli, «il nodo
che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!
Io veggio ben come le vostre penne
di retro al dittator sen vanno strette,
che de le nostre certo non avvenne;
e qual più a gradire oltre si mette,
non vede più da l’uno a l’altro stilo»;
e, quasi contentato, si tacette.
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– apprezza: mostra di apprezzare;
– aver contezza: mostra di
conoscermi più degli altri;
– Gentucca: gentildonna di Lucca,
sconosciuta ancora a Dante (non so che..), che lo ospiterà in
una città ostile ai fuoriusciti bianchi;
– pilucca: piluccare: spiccare
gli acini uno ad uno, consuma a poco a poco;
– benda: velo che copriva i
capelli delle donne sposate: Gentucca è ancora giovane nel 1300;
– come che: concessivo: benché;
– la riprenda: benché la si
rimproveri;
– antivedere: con questa
premonizione;
– prendesti errore: è sorto in te
qualche dubbio;
– dichiareranti: la realtà dei
fatti te lo mostrerà;
– nove rime: è la poetica della
loda, che ha inizio con Donne ch’avete, nella Vita Nova;
dove D. esprime il proprio amore autoappagante tramite la lode dell’am.;
– i mi son un: modestia: sono
uno dei tanti che..;
– Amor: è il dictator,
colui che detta; l’autore: è lo scriba fedele; significanto:
esprimere tramite segni, scrivere;
– issa: ora io vedo! forte
municipalismo (si Lucca);
– nodo: l’ostacolo;
metafora della falconeria: il nodo che tiene legato il falcone non
ancora addestrato al cacciatore;
– penne: quelle per scrivere, e
si ricollega alla metafora del falcone che può volare liberamente;
– gradire: avanzare, procedere
oltre (nell’indagine);
– più: non vede altre differenze;
– quasi contentato: non ha capito
che le differenze sono ben altre!
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Lo Stil Novo. Se nel canto
precedente aveva rifiutato la poesia comico-realistica di tipo
municipale, come un sentiero abbandonato, che successivamente ha deciso
di non percorrere; qui recupera l’esperienza giovanile dello
Stilnovo, come punto di partenza per la successiva ricerca che lo ha
portato a scrivere la commedia.
– Bonagiunta: scrive a
Guinizzelli Voi c’h’avete mutata la maniera;
– Guinizzelli: considerato
l’iniziatore dello Stilnovo, risponde con Omo ch’è saggio non corre
leggero, dove non ribalta le accuse (di eccessivo intellettualismo e
uso della filosofia), e dice sostanzialmente che ?l’uomo saggio non
giunge a conclusioni affrettate; ma lo fa citando dei passi di altre
poesie di Bonagiunta;
– Dante: usa il verbo
gradir nel senso di andare oltre, che anche
Guinizzelli aveva usato nella sua risposta a Bonagiunta; il
quale, tuttavia, non ha capito la vera novità dello Stilnovo: non
solo tematica (l’amore, e non altri temi) ma anche stilistica
e concettuale, ed esulta con un’espressione violentemente municipale:
issa!
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64-99.
Riprende il dialogo-cammino con Forese: Dante si augura di rivedere
presto Forese in Purgatorio (cioè di morire presto) perché la città dove vive
(Firenze) si corrompe ogni giorno di più. Forese si congeda annunciando la morte
di suo fratello, Corso Donati, ritenuto la causa principale del male di Firenze.
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Come li augei che vernan lungo ‘l Nilo,
alcuna volta in aere fanno schiera,
poi volan più a fretta e vanno in filo,
così tutta la gente che lì era,
volgendo ‘l viso, raffrettò suo passo,
e per magrezza e per voler leggera.
E come l’uom che di trottare è lasso,
lascia andar li compagni, e sì passeggia
fin che si sfoghi l’affollar del casso,
sì lasciò trapassar la santa greggia
Forese, e dietro meco sen veniva,
dicendo: «Quando fia ch’io ti riveggia?».
«Non so», rispuos’ io lui, «quant’ io mi viva;
ma già non fïa il tornar mio tantosto,
ch’io non sia col voler prima a la riva;
però che ‘l loco u’ fui a viver posto,
di giorno in giorno più di ben si spolpa,
e a trista ruina par disposto».
«Or va», diss’ el; «che quei che più n’ha colpa,
vegg’ ïo a coda d’una bestia tratto
inver’ la valle ove mai non si scolpa.
La bestia ad ogne passo va più ratto,
crescendo sempre, fin ch’ella il percuote,
e lascia il corpo vilmente disfatto.
Non hanno molto a volger quelle ruote»,
e drizzò li occhi al ciel, «che ti fia chiaro
ciò che ‘l mio dir più dichiarar non puote.
Tu ti rimani omai; ché ‘l tempo è caro
in questo regno, sì ch’io perdo troppo
venendo teco sì a paro a paro».
Qual esce alcuna volta di gualoppo
lo cavalier di schiera che cavalchi,
e va per farsi onor del primo intoppo,
tal si partì da noi con maggior valchi;
e io rimasi in via con esso i due
che fuor del mondo sì gran marescalchi.
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1° similitudine: le gru (per le
anime);
– augei: le gru; vernan:
svernano, passano l’inv.;
– alcuna volta: in certe
stagioni; schiera: gruppo;
– a filo: in fila, l’una dietro
l’altra;
2° similitudine: il corridore
(per Forese);
– l’uom: imperson: come chi è
stanco di correre;
– affollar: <lat. follis, mantice
(che si gonfia);
– casso: il petto, <lat. capsa;
– trapassar: lasciò procedere
oltre;
– già: ormai; mi viva:
vivrò (mi pleonastico);
– tantosto: tanto presto;
– riva: la spiaggia del
Purgatorio;
– loco: Firenze;
– si spolpa: si impoverisce, si
scarnifica;
– ruina: rovina, politica e
morale insieme;
– or va: vai tranquillo;
quei: Corso Donati;
– vegg’io: lo vedo trascinato
all’inferno dalla coda di un cavallo (come in molte leggende popolari);
– la Chronica del Villani diche
che Corso cadde da cavallo, e fu trascinato con un piede impigliato alla
staffa;
– non hanno…ruote: non passeranno
molti anni;
– ruote: le ruote celesti, lo
scorrere del tempo;
– ciò che: la morte di Corso,
velata dalla profezia di Forese;
3° similitudine: il guerriero a
cavallo;
– esce: dal gruppo, per
affrontare da solo il nemico ed averne maggior onore; di gualoppo:
al galop;
– intoppo: scontro;
– valchi: falcate (sincope:
valichi);
– con esso i due: solo con quei
due (esso: raff.);
– marescalchi: < mariscalcus
(latinizz fal fr.), prima stalliere, poi carica militare (oggi:
maresciallo);
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Molti temi. In questo canto sono
affrontati molti temi:
– l’amicizia: tra Dante e Forese,
che tocca il culmine in questo affettuoso arrivederci;
– il ricordo: questo canto è
tutta una rievocazione del passato;
– la poesia: il canto, con il
precedente, è un importante momento di autocoscienza poetica per Dante,
che fa i conti con esperienze poetiche che egli ha rifiutato o
continuato; nello stesso tempo fissa un canone della poesia lirica
italiana, canone che noi tuttora seguiamo;
– la carità femminile: quella di
Gentucca, e quella di Piccarda, già in paradiso, nel cerchio della Luna;
– la Giustizia divina: oltre a
quello di base del Purgatorio (peccati puniti), anche la punizione di
Corso
Donati;
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100-129.
Esempi di Gola punita. Dopo il saluto con Forese, Dante descrive la
penitenza e gli esempla:
1)
penitenza: le anime passano sutto un albero carico di frutti,
alzando inutilmente le braccia;
2)
Esempi di gola punita: come all’inizio della Cornice venivano
gridati esempi di temperanza (virtù opposta) qui vengono gridati esempi di Gola
punita:
– i centauri:
che furono sterminati da Teseo dopo essersi saziati e ubriacati (classico);
– gli ebrei:
che dopo aver bevuto troppo avidamente da una fonte d’acqua, non furono condotti
da Gedeone in una spedizione militare (biblico);
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E quando innanzi a noi intrato fue,
che li occhi miei si fero a lui seguaci,
come la mente a le parole sue,
parvermi i rami gravidi e vivaci
d’un altro pomo, e non molto lontani
per esser pur allora vòlto in laci.
Vidi gente sott’ esso alzar le mani
e gridar non so che verso le fronde,
quasi bramosi fantolini e vani
che pregano, e ‘l pregato non risponde,
ma, per fare esser ben la voglia acuta,
tien alto lor disio e nol nasconde.
Poi si partì sì come ricreduta;
e noi venimmo al grande arbore adesso,
che tanti prieghi e lagrime rifiuta.
«Trapassate oltre sanza farvi presso:
legno è più sù che fu morso da Eva,
e questa pianta si levò da esso».
Sì tra le frasche non so chi diceva;
per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
oltre andavam dal lato che si leva.
«Ricordivi», dicea, «d’i maladetti
nei nuvoli formati, che, satolli,
Tesëo combatter co’ doppi petti;
e de li Ebrei ch’al ber si mostrar molli,
per che no i volle Gedeon compagni,
quando inver’ Madïan discese i colli».
Sì accostati a l’un d’i due vivagni
passammo, udendo colpe de la gola
seguite già da miseri guadagni.
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– intrato: andato avanti (a noi);
– si fero a lui seguaci: lo
seguirono;
– le parole sue: la sua profezia
(D. ci pensava);
– parvemi: mi apparve davanti;
– gravidi: di frutti; vivaci:
di foglie;
– pur allora: solo allora;
in laci: in quella direzione;
– vani: sprovveduti;
– la voglia: cioè che loro
desiderano;
– si partì: la folla;
ricreduta: avendo capito lo scherzo;
– adesso: venimmo subito al
grande albero;
– rifiuta: non esaudisce;
– farvi presso: senza
avvicinarvi;
– legno: l’albero della
conoscenza del bene e del male;
– lato che si leva: verso la
parte che sale su;
– maledetti: i centauri;
– nuvoli: figli di Nefele;
– petti: sineddoche: corpi >
uomo/cavallo;
– molli: lascivi, avidi;
– inver: contro i Mandianiti;
– vivagni: margini;
– cole de la gola: peccati di
gola puniti;
– guadagni: ironico: intende:
punizioni;
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I centauri. Figli di Issìone e
Nefele (nuvola), erano stati invitati dai Làpiti alle nozze di
Piritoo e Ippodamia; là si erano ubriacati e avevano cercato
di violentare le donne dei Lapiti; per questo erano stati sterminati
da Teseo, amico di Piritoo.
Gli ebrei. Gedeone era il
giudice-condottiero degli ebrei nella spedizione militare contro i
Mandianiti. Prima di condurli in battaglia li fece fermare a bere in una
fonte, e scartò quelli che, per ingordigia, si erano inginocchiati
per bere (gesto idolatrico);
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130-154.
L’angelo della Temperanza. Oltrepassato l’albero, i tre odono una voce che
indica loro la strada: si tratta dell’Angelo della Temperanza, custode
della sesta cornice, che abbaglia Dante con la sua luce, e con l’ala, gli toglie
dalla fronte la sesta P, mentre recita un la quarta beatitudine:
«beati coloro che hanno fame e sete di giustizia».
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Poi, rallargati per la strada sola,
ben mille passi e più ci portar oltre,
contemplando ciascun sanza parola.
«Che andate pensando sì voi sol tre?».
sùbita voce disse; ond’ io mi scossi
come fan bestie spaventate e poltre.
Drizzai la testa per veder chi fossi;
e già mai non si videro in fornace
vetri o metalli sì lucenti e rossi,
com’io vidi un che dicea: «S’a voi piace
montare in sù, qui si convien dar volta;
quinci si va chi vuole andar per pace».
L’aspetto suo m’avea la vista tolta;
per ch’io mi volsi dietro a’ miei dottori,
com’om che va secondo ch’elli ascolta.
E quale, annunziatrice de li albori,
l’aura di maggio movesi e olezza,
tutta impregnata da l’erba e da’ fiori;
tal mi senti’ un vento dar per mezza
la fronte, e ben senti’ mover la piuma,
che fé sentir d’ambrosïa l’orezza.
E senti’ dir: «Beati cui alluma
tanto di grazia, che l’amor del gusto
nel petto lor troppo disir non fuma,
esurïendo sempre quanto è giusto!».
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– rallargati: distanziati l’uno
dall’altro; sola: deserta;
– ci portar oltre: avanzammo per
più di mille passi;
– contemplando: ciascuno
meditando;
– sol tre: rima franta;
– poltre: pigre; hysteron
proteron: pigre > spaventate;
– fossi: fosse;
– un che dicea: è l’angelo della
Temperanza;
– dar volta: svoltare;
– quinci: di qua;
– la vista tolta: mi aveva
abbagliato;
– secondo ch’elli ascolta: come
il cieco, che per muoversi aspetta istruzioni; albori: l’alba;
– olezza: profuma:
– l’orezza: l’aria;
– alluma: illuminati dalla
grazia;
– fuma: emette fumo > annebbia;
– esauriendo: <lat. esur?re:
aver fame di («beati qui esuriunt ad sitiunt iustitiam»);
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