Inferno XXXIII dalla Divina commedia di Dante Alighieri – di Carlo Zacco
3 Agosto 2015Purgatorio XXIV dalla Divina commedia di Dante Alighieri – di Carlo Zacco
3 Agosto 2015Inferno XXXIV
1-21. La Giudecca e Lucifero
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«Vexilla regis pròdeunt inferniverso di noi; però dinanzi mira»,disse ‘l maestro mio, «se tu ‘l discerni».Come quando una grossa nebbia spira,o quando l’emisperio nostro annotta,par di lungi un molin che ‘l vento gira,veder mi parve un tal dificio allotta;poi per lo vento mi ristrinsi retroal duca mio, ché non lì era altra grotta.Già era, e con paura il metto in metro,là dove l’ombre tutte eran coperte,e trasparien come festuca in vetro.Altre sono a giacere; altre stanno erte,quella col capo e quella con le piante;altra, com’arco, il volto a’ piè rinverte.Quando noi fummo fatti tanto avante,ch’al mio maestro piacque di mostrarmila creatura ch’ebbe il bel sembiante,d’innanzi mi si tolse e fé restarmi,«Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il locoove convien che di fortezza t’armi». |
Lucifero. All’inizio del canto
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21-35. Descrizione del demonio
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Com’ io divenni allor gelato e fioco,nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,però ch’ogne parlar sarebbe poco.Io non mori’ e non rimasi vivo;pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno,qual io divenni, d’uno e d’altro privo.Lo ‘mperador del doloroso regnoda mezzo ‘l petto uscia fuor de la ghiaccia;e più con un gigante io mi convegno,che i giganti non fan con le sue braccia:vedi oggimai quant’ esser dee quel tuttoch’a così fatta parte si confaccia.S’el fu sì bel com’elli è ora brutto,e contra ‘l suo fattore alzò le ciglia,ben dee da lui procedere ogne lutto. |
Terrore di Dante. Dante
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37-60. Le tre bocche del demonio
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Oh quanto parve a me gran maravigliaquand’ io vidi tre facce a la sua testa!L’una dinanzi, e quella era vermiglia;l’altr’ eran due, che s’aggiugnieno a questasovresso ‘l mezzo di ciascuna spalla,e sé giugnieno al loco de la cresta:e la destra parea tra bianca e gialla;la sinistra a vedere era tal, qualivegnon di là onde ‘l Nilo s’avvalla.Sotto ciascuna uscivan due grand’ ali,quanto si convenia a tanto uccello:vele di mar non vid’ io mai cotali.Non avean penne, ma di vispistrelloera lor modo; e quelle svolazzava,sì che tre venti si movean da ello:quindi Cocito tutto s’aggelava.Con sei occhi piangëa, e per tre mentigocciava ‘l pianto e sanguinosa bava.Da ogne bocca dirompea co’ dentiun peccatore, a guisa di maciulla,sì che tre ne facea così dolenti.A quel dinanzi il mordere era nullaverso ‘l graffiar, che talvolta la schienarimanea de la pelle tutta brulla. |
Continua la descrizione. Dante
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61-69. Giuda, Bruto e Cassio |
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«Quell’ anima là sù c’ha maggior pena»,disse ‘l maestro, «è Giuda Scarïotto,che ‘l capo ha dentro e fuor le gambe mena.De li altri due c’hanno il capo di sotto,quel che pende dal nero ceffo è Bruto:vedi come si storce, e non fa motto!;e l’altro è Cassio, che par sì membruto.Ma la notte risurge, e oramaiè da partir, ché tutto avem veduto». |
Virgilio prende la parola, e spiega:
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70-81. la discesa/salita |
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Com’ a lui piacque, il collo li avvinghiai;ed el prese di tempo e loco poste,e quando l’ali fuoro aperte assai,appigliò sé a le vellute coste;di vello in vello giù discese posciatra ‘l folto pelo e le gelate croste.Quando noi fummo là dove la cosciasi volge, a punto in sul grosso de l’anche,lo duca, con fatica e con angoscia,volse la testa ov’ elli avea le zanche,e aggrappossi al pel com’om che sale,sì che ‘n inferno i’ credea tornar anche.«Attienti ben, ché per cotali scale»,disse ‘l maestro, ansando com’uom lasso,«conviensi dipartir da tanto male».Poi uscì fuor per lo fóro d’un sassoe puose me in su l’orlo a sedere;appresso porse a me l’accorto passo. |
Quindi Virgilio ordina a Dante di
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88-126. L’uscita dalla burella. |
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Dante si rialza, vede sopra di lui le
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127-139. A riveder le
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Luogo è là giù da Belzebù remototanto quanto la tomba si distende,che non per vista, ma per suono è notod’un ruscelletto che quivi discendeper la buca d’un sasso, ch’elli ha roso,col corso ch’elli avvolge, e poco pende.Lo duca e io per quel cammino ascosointrammo a ritornar nel chiaro mondo;e sanza cura aver d’alcun riposo,salimmo sù, el primo e io secondo,tanto ch’i’ vidi de le cose belleche porta ‘l ciel, per un pertugio tondo.E quindi uscimmo a riveder le stelle. |
In quella parte della terra c’è un
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