Purgatorio XXVI
Canto XXV. Questo canto è dedicato principalmente ad una
trattazione filosofica: Dante chiede come possano dimagrire le anime, dato che
non hanno il corpo, e Stazio risponde esponendo le teorie dell’epoca sulla
formazione dell’anima, e sul fatto che l’anima possa sentire dolore.
– Passaggio. Quindi avviene il passaggio dalla 6° alla
7° cornice, quella dei lussuriosi. Qui lungo la parete c’è un muro di fuoco, e
in mezzo ad esso camminano le anime, gridando tre esempi di castità: le parole
di Maria all’arcangelo Gabriele, Diana, l’amore coniugale.
1-24. Le anime. I tre procedono sull’orlo della cornice,
tra il fuoco che rasenta la parete, e lo strapiombo; verso sud, in senso
antiorario, mentre il sole si prepara a tramontare verso occidente;
– le anime si accorgono che Dante proietta la sua ombra sul
fuoco, e si stupiscono di questo fatto apparentemente insignificante: una di
loro lo apostrofa, e gli chiede come fa ad essere vivo;
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Mentre che sì per
l’orlo, uno innanzi altro,
ce n’andavamo, e spesso il
buon maestro
diceami: «Guarda:
giovi ch’io ti scaltro»;
feriami il sole in su
l’omero destro,
che già, raggiando, tutto
l’occidente
mutava in bianco aspetto
di cilestro;
e io facea con l’ombra
più rovente
parer la fiamma; e pur a
tanto indizio
vidi molt’ ombre, andando,
poner mente.
Questa fu la cagion che
diede inizio
loro a parlar di me; e
cominciarsi
a dir: «Colui non par corpo
fittizio»;
poi verso me, quanto
potëan farsi,
certi si fero, sempre con
riguardo
di non uscir dove non
fosser arsi.
«O tu che vai, non
per esser più tardo,
ma forse reverente, a li
altri dopo,
rispondi a me che ‘n
sete e ‘n foco ardo.
Né solo a me la tua
risposta è uopo;
ché tutti questi n’hanno
maggior sete
che d’acqua fredda Indo
o Etïopo.
Dinne com’è che fai di
te parete
al sol, pur come tu non
fossi ancora
di morte intrato dentro
da la rete».
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sì:
con prudenza; per l’orlo: lungo il bordo della cornice;
– guarda: fa’ attenzione;
giovi..scaltro: ti sia utile che io ti avverta (dei pericoli);
– omero: spalla > hanno il sole
orizzontale a destra: è pomeriggio; camminano in senso antiorario verso
sud;
– aspetto di cilestro: il colore
celeste del cielo >il sole rende più bianca la parte in cui si trova a
passare;
– pur: solo per questo indizio,
cioè per il fatto che Dante proiettava un’ombra;
– inizio: occasione;
– fittizio: aereo, inconsistente,
«vano», come le anime;
– tardo: non perché sei più
pigro/negligente degli altri due, ma forse per reverenza verso di loro;
– sete: sete reale, per l’arsura;
molti però la considerano una metaf. per la sete di sapere notizie su
Dante;
– è uopo: opus est, è necessaria;
– Indo o Etiopo: sineddoche: gli
abitanti dell’india o Eriop.;
– parete: schermo, impedimento;
– la rete: come se tu non fossi
ancora entrato nella rete della morte;
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25-36. Le due schiere dei lussuriosi. Mentre Dante sta
per rispondere alla domanda, la sua attenzione viene attirata da un altro fatto:
vede che in direzione opposta a quella in cui camminano le anime (tra cui quella
che gli ha rivolto la parola), corre un’altra schiera di anime. Al momento
dell’incontro le anime dell’una e dell’altra schiera si baciano e si scambiano
gesti affettuosi.
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Sì mi parlava un d’essi;
e io mi fora
già manifesto, s’io
non fossi atteso
ad altra novità ch’apparve
allora;
ché per lo mezzo del
cammino acceso
venne gente col viso
incontro a questa,
la qual mi fece a
rimirar sospeso.
Lì veggio d’ogne parte
farsi presta
ciascun’ ombra e
basciarsi una con una
sanza restar, contente a
brieve festa;
così per entro loro
schiera bruna
s’ammusa l’una con l’altra
formica,
forse a spïar lor via e lor
fortuna.
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– mi fora: mi sarei già
manifestato, avrei già risposto;
– atteso: se non avessi rivolto
la mia attenzione;
– cammino: la strada infuocata;
– col viso incontro: in direzione
opposta;
– a rimirar sorpreso: mi rese
stupito nel guardarla;
– farsi presta: affrettarsi;
– baciarsi: fa parte del
contrappasso: baci di carità, contro amore corrotto in vita;
brieve festa: festosa effusione;
– schiera bruna: nigrum agmen
(Verg. Aen, IV, 404);
– via e fortuna: il percorso e
la sorte;
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37-51. Esempi di Lussuria. Dopo essersi baciate le anime
si separano, e proseguono ciascuna il proprio cammino, gridando esempi di
lussuria:
– la schiera che era sopraggiunta in direzione contraria,
quella dei peccatori contro natura, grida l’esempio di Sodoma e Gomorra;
l’altra quello di Pasifae;
– poi proseguono il loro cammino sempre cantando l’inno (Summae
Deus Clementiae) o gridando esempi;
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Tosto che parton
l’accoglienza amica,
prima che ‘l primo passo
lì trascorra,
sopragridar ciascuna
s’affatica:
la nova gente: «Soddoma
e Gomorra»;
e l’altra: «Ne la vacca
entra Pasife,
perché ‘l torello a sua
lussuria corra».
Poi, come grue ch’a le
montagne Rife
volasser parte, e parte
inver’ l’arene,
queste del gel, quelle del
sole schife,
l’una gente sen va,
l’altra sen vene;
e tornan, lagrimando, a’
primi canti
e al gridar che più lor si
convene;
e raccostansi a me,
come davanti,
essi medesmi che m’avean
pregato,
attenti ad ascoltar ne’ lor
sembianti.
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– parton: prima che interrompano
l’amichevole accogli.;
– lì trascorra: prima abbiano
compiuto il primo passo;
– sopragridar: gridare a gran
voce;
– nova: la seconda schiera¸
– vacca: Pasifae entra nella
vacca perché il Toro corra a soddisfare la lussuria di lei;
– a le montagne Rife >
verso Nord. monti Rifei o Iperborei, posti dagli antichi all’estremo
Nord; come se le gru si spartissero per volare parte verso Nord, parte
verso Sud, le une insofferenti del gelo, le altre del deserto;
– primi canti: l’inno del
mattutino Summae Deus Sapientiae, la cui terza strofa è relativa
alla lussuria;
– come davanti: come poco prima
avevano fatto;
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Pasifae. Secono il mito, Poseidone
aveva mandato a Minosse un bellissimo Toro bianco da sacrificare in suo
nome; Minosse però non volle farlo, perché il toro era troppo bello, ne
sacrificò un altro;
– Poseidone si vendicò facendo in modo
che la moglie si innamorasse del toro.
– Per soddisfare il suo desiderio,
Pasifae fa costruire da dedalo una vacca, vuota all’interno, in cui la
regina potesse collocarsi, ed avere rapporti sessuali col toro;
– da questo «amor scellerato» (Nefanda
Venus), nasce il Minotauro, essere metà uomo, metà toro.
– Per cancellare la memoria del fatto,
Minosse da costruire da Dedalo un labirinto, e ce lo rinchiudere.
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52-66. Dante risponde alle domande delle anime. Dante
dice di essere vivo e di aver già attraversato l’oltretomba infernale, in virtù
di una speciale grazia divina.
– Poi, dopo aver augurato alle anime di giungere presto alla
beatitudine, chiede chi siano essi, e la schiera di quelle che si muovono in
senso contrario;
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Io, che due volte avea
visto lor grato,
incominciai: «O anime
sicure
d’aver, quando che sia, di
pace stato,
non son rimase acerbe né
mature
le membra mie di là, ma son
qui meco
col sangue suo e con le sue
giunture.
Quinci sù vo per non
esser più cieco;
donna è di sopra che
m’acquista grazia,
per che ‘l mortal
per vostro mondo reco.
Ma se la vostra
maggior voglia sazia
tosto divegna, sì che ‘l
ciel v’alberghi
ch’è pien d’amore e più
ampio si spazia,
ditemi, acciò ch’ancor
carte ne verghi,
chi siete voi, e chi è
quella turba
che se ne va di retro a’
vostri terghi».
|
–
due volte: ai vv. 22-24, e v. 51;
– grato: cosa gradita, desiderio;
– acerbe: morte prematuramente o in età
avanzata;
Quinci: da qui vado su per
acquistare la luce della mente;
– donna: Beatrice;
– il mortal: il corpo mortale;
– maggior voglia: desiderio di
salvezza; se: ottativo; < sic;
– si spazia: si estende più
ampiamente di ogni altro;
– carte ne verghi: Dante non si
presenta per nome, ma dichiara di essere scrittore.
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67-87. Un’anima spiega. All’udire che Dante è vivo, le
anime restano stupefatte, e una di queste (la stessa che aveva parlato prima),
spiega che la schiera che si muove in senso contrario è quella dei sodomiti.
– Loro invece, pur rimanendo entro le leggi di natura, hanno
ecceduto nei piaceri sensuali;
– poi l’anima si presenta, dichiarando di essere Guido
Guinizzelli.
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Non altrimenti stupido
si turba
lo montanaro, e rimirando
ammuta,
quando rozzo e salvatico
s’inurba,
che ciascun’
ombra fece in sua paruta;
ma poi che furon di stupore
scarche,
lo qual ne li alti cuor
tosto s’attuta,
«Beato te, che de le
nostre marche»,
ricominciò colei che pria
m’inchiese,
«per morir meglio,
esperïenza imbarche!
La gente che non vien
con noi, offese
di ciò per che già Cesar,
trïunfando,
“Regina” contra sé chiamar
s’intese:
però si parton “Soddoma”
gridando,
rimproverando a sé com’hai
udito,
e aiutan l’arsura
vergognando.
Nostro peccato fu
ermafrodito;
ma perché non servammo
umana legge,
seguendo come bestie
l’appetito,
in obbrobrio di noi,
per noi si legge,
quando partinci, il nome di
colei
che s’imbestiò ne le ‘mbestiate
schegge.
Or sai nostri atti e di
che fummo rei:
se forse a nome vuo’ saper
chi semo,
tempo non è di dire,
e non s’aprei.
Farotti ben di me volere
scemo:
son Guido Guinizzelli, e
già mi purgo
per ben dolermi prima
ch’a lo stremo».
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– stupido: stupìto;
– selvatico: abituato a vivere
nei boschi;
– che < non altrimenti;
paruta: apparenza, aspetto;
– scarche: libere dallo stupore,
qnd cessarono di stupirsi;
– alti cuor: magnanimi, saggi;
s’attuta: si smorza, attutisce;
– marche: territori > nel
Purgatorio;
– imbarche: imbarchi,
acquisti esperienza (del purgatorio);
– vergognando: vergognandosi del
loro peccato, accrescono l’efficacia del tormento del fuoco;
– ermafrodito: usato qui come
sinonimo di eterosessuale;
– per noi: da parte nostra (compl
d’agente);
– s’imbestiò: agì come una
bestia; schegge: legno lavorato a forma di bestia;
– tempo non è: non è il momento
adatto, e non s’aprei;
– scemo: mancante > ti libererò
dal desiderio (soddisfacendolo);
– per..stremo: mi purifico per essermi
pentito prima di essere mosto (allo stremo della vita);
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Cesare: Svetonio (Vite dei
Cesari, I (Caes) 49) racconta che Cesare fu amante di Nicomede III,
Re di Bitinia; e che durante un trionfo fu chiamato “Regina di Bitinia”
per dileggio da un certo Ottavio e da altri avversari;
– La relazione con Nicomede III era
così nota che durante quel trionfo i soldati, tra le varie canzoni,
gliene rivolsero una assai nota (illud vulgatissimum): Gallias
Caesar subegit, Nicomede Caesarem;
– Cesare era notoriamente un
omosessuale passivo: Catullo lo definisce cinaedus (Carme 57);
Domanda: perché Dante sceglie come
rappresentante dei sodomiti un personaggio di così alta levatura?
– già all’inferno aveva incontrato
Brunetto Latini, suo maestro: e il fatto che il peccato di cui
questo si sia macchiato sia una grave colpa per la chiesa, non
impedisce a Dante di portare con affetto con sé la «cara e buona
immagine paterna» di Brunetto.
– Pare che per Dante il giudizio divino
possa essere separato da quello umano: Dante-cristiano condanna;
Dante-uomo comprende.
Ermafrodito. La fonte è Ovidio:
Ermafrodito (figlio di Hermes e Afrodite) si unì con la Ninfa Salmace
così strettamente da formare un solo corpo con lei, dalle
caratteristiche ibride.
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94-135. All’udire il nome di Guinizzelli, Dante vorrebbe
correre ad abbracciarlo, ma non lo fa a causa del fuoco. Si accontenta di
guardarlo a lungo, e gli promette che pregherà per lui;
– Guinizzelli si mostra a sua volta stupito di tanta
ammirazione, e dante gli rivela che ciò è dovuto alla bellezza dei suoi
versi;
– Allora Guinizzelli indica a Dante uno spirito accanto a sé,
dicendo che si tratta di Arnaut Daniel, il miglior poeta in una lingua
romanza;
– afferma inoltre che chiunque dica che un altro autore
provenzale, Giraud de Bronelh, è superiore ad Arnaut, commette lo stesso
errore di quelli che proclamano la supremazia di Guittone d’Arezzo,
anteponendo l’opinione del volgo alla verità;
– infine prega Dante di ricordarsi di lui, con
preghiere, quando sarà giunto in paradiso: e detto questo, scompare tra le
fiamme.
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Quali ne la tristizia
di Ligurgo
si fer due figli a
riveder la madre,
tal mi fec’ io, ma non a
tanto insurgo,
quand’ io odo nomar sé
stesso il padre
mio e de li altri
miei miglior che mai
rime d’amore usar dolci
e leggiadre;
e sanza udire e dir
pensoso andai
lunga fïata rimirando lui,
né, per lo foco, in là più
m’appressai.
Poi che di riguardar
pasciuto fui,
tutto m’offersi pronto al
suo servigio
con l’affermar che
fa credere altrui.
Ed elli a me: «Tu
lasci tal vestigio,
per quel ch’i’ odo, in
me, e tanto chiaro,
che Letè nol può tòrre
né far bigio.
Ma se le tue parole or
ver giuraro,
dimmi che è cagion per che
dimostri
nel dire e nel guardar
d’avermi caro».
E io a lui: «Li dolci
detti vostri,
che, quanto durerà l’uso
moderno,
faranno cari ancora i loro
incostri».
«O frate», disse,
«questi ch’io ti cerno
col dito», e additò un
spirto innanzi,
«fu miglior fabbro del
parlar materno.
Versi d’amore e prose di
romanzi
soverchiò tutti; e
lascia dir li stolti
che quel di Lemosì
credon ch’avanzi.
A voce più ch’al ver
drizzan li volti,
e così ferman sua
oppinïone
prima ch’arte o ragion
per lor s’ascolti.
Così fer molti
antichi di Guittone,
di grido in grido
pur lui dando pregio,
fin che l’ha vinto il ver
con più persone.
Or se tu hai sì ampio
privilegio,
che licito ti sia
l’andare al chiostro
nel quale è Cristo abate
del collegio,
falli per me un dir
d’un paternostro,
quanto bisogna a noi di
questo mondo,
dove poter peccar non è
più nostro».
Poi, forse per dar luogo
altrui secondo
che presso avea,
disparve per lo foco,
come per l’acqua il pesce
andando al fondo.
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– tristizia: dolore, ira;
– riveder: riabbracciare;
– insurgo: non mi spingo a tanto;
– padre/mio: marcato dall’enjambement;
– miglior: altri poeti migliori
di me: Cavalcanti;
– mai: non senso negativo: <
umquam;
– dolci e leggiadre: caratteri
della poesia stilnovistica;
– senza udire e dir: entrambi in
silenzio;
– servigio: servizio: di
suffragi, e di qualunque altra cosa; l’affermar: con quei gesti
e parole che inducono gli altri a credere alla promessa fatta;
– vestigio: «tu lasci un impronta
in me, per quello che sento, tanto viva che il Lete non potrebbe né
cancellare né offuscare;
Ma se le parole che hai pronunciato ora
dicono il vero, dimmi qual è la ragione per cui dimostri, nel parlarmi e
nel guardarmi, di avermi così caro»
«E io a lui: le vostre dolci rime che,
finché durerà l’uso di scrivere in volgare (uso moderno),
renderanno ancora preziosi i loro manoscritti»
– cerno: indico;
– fabbro: il miglior artefice
nella sua lingua volgare;
– soverchiò: superò tutti [quelli
che composero] versi d’amore e romanzi in prosa;
– quel di Lemosì: Giraud de
Bronelh, trovatore limosino; – a voce: «più che alla verità
guardano alla moda, e a questa adeguano la propria opinione, ancora
prima di ascoltare la poesia».
– antichi: quelli della
generazione precedente;
– di grido in grido: «di bocca in
bocca, apprezzandolo, finché fu vinto dalla verità, tramite il giudizio
di più persone;
Ora, se tu hai avuto un privilegio per
cui ti è lecito entrare in quel monastero (il paradiso) di cui Cristo è
l’Abate della comunità; recita davanti a lui per me un Paternostro, quel
tanto che occorre a noi anime del purgatorio, luogo in cui non è più
possibile per noi peccare»
– altrui secondo: ad un altro
dopo di sé;
– presso: che gli stava a fianco;
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Licurgo. L’episodio è tratto dalla
Tebaide di Stazio.
– Licurgo era Re di Nemea, che aveva
lasciato il figlioletto in custodia alla balia, Isìfile.
– lei lasciò per un attimo il bambino
incustodito, che in questo frangente fu morso da un serpente, e morì;
– Licurgo condanna a morte Isìfile, ma
proprio mentre il boia sta per eseguire la condanna, i due figli di lei
si lanciano addosso alla madre, abbracciandola, e riescono a sottrarla
al boia, salvandole la vita;
– Stazio racconta che i figli «per
tela manusque / irruerunt matremque avidis complexibus ambo / diripiunt
flentes»; la situazione è in parte diversa: le motivazioni Dante
/figli di Isifile non coincide; coincide solo l’intenzione di
abbracciare Guinizzelli.
Arnaut Daniel. Trovatore
provenzale del XII secolo. Fu famoso per il tropar clus: stile
poetico ermetico e ricco di virtuosismi;
– Dante imita spesso Arnaut,
specialmente nelle rime petrose, e ne trae la sestina lirica;
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136-148. Incontro con Arnaut Daniel. Guinizzelli si
allontana, tra le fiamme, Dante avanza un poco per accostarsi allo spirito
che Guinizzelli gli aveva indicato come il «il miglior fabbro del parlar
materno», il miglior poeta in una lingua volgare, e lo prega di dirgli il suo
nome:
– questi si rivolge a Dante in provenzale: si presenta come
Arnaut Daniel, e lo prega di aiutarlo con le sue preghiere; Poi si nasconde nel
fuoco purificatore.
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Io mi fei al mostrato
innanzi un poco,
e dissi ch’al suo nome
il mio disire
apparecchiava grazïoso
loco.
El cominciò liberamente
a dire:
«Tan m’abellis vostre
cortes deman,
qu’ieu no me puesc ni voill
a vos cobrire.
Ieu sui Arnaut, que plor
e vau cantan;
consiros vei la passada
folor,
e vei jausen lo joi qu’esper,
denan.
Ara vos prec, per
aquella valor
que vos guida al som de l’escalina,
sovenha vos a temps de ma
dolor!».
Poi s’ascose nel foco
che li affina.
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– al mostrato: mi avvicinai un
poco a quello che mi era stato mostrato;
– apparecchiava: «il mio
desiderio preparava al suo nome una gradita accoglienza»;
«Tanto mi piace la vostra cortese
domanda,
che io non mi posso né voglio nascondermi
a voi.
Io sono Arnaut, che piango e vado
cantando;
afflitto vedo la mia lassata follia
[d’amore],
e vedo lieto la gioia che spero, davanti
a me.
Ora vi prego, per quella virtù
che vi guida verso la cima della scala,
che vi ricordiate, a tempo opportuno, del
mio dolore».
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