In principio era Dylan
27 Gennaio 2019Alda Merini
27 Gennaio 2019(86-35 a.C.)
di Francesca Condoleo
Vita
Nasce ad Amiterno, nella Sabina Orientale, odierna lAquila. Di famiglia plebea ma agiata, vive in una regione montuosa di popolazione tradizionalista e devota. Giunge a Roma in giovane età per completare gli studi. Ha un anomalo cursus honorum, legato ai populares e a Cesare. Si distingue nelle violente campagne contro Milone (probabilmente perché era stato scoperto con Fausta, la moglie, e sarebbe stato fatto frustare e multato) e Cicerone. Viene espulso dal senato per indegnità morale, per una ritorsione dei nobili. Nella guerra civile segue Cesare, che gli affida numerosi incarichi militari e civili. Toglie ai pompeiani l’isola di Cercina. Nominato governatore dell’Africa Nova (territori sottratti a Giuba), viene accusato de repetundis (concussione)ma viene aiutato da cesare. Grazie a quie profitti acquista gli horti Sallustiani, punto dincontro per gli intellettuali, tra il Pincio e il Quirinale. Morto Cesare si ritira a vita privata dedicandosi alla storiografia. Scrive Scrive 3 opere a carattere storiografico, le prime 2 di carattere monografico: Bellum Catilinae (la congiura di Catilina del 63); bellum Iugurthinum (sulla guerra condotta contro il numida Giugurta), Historiae(rimaste interrotte, narrano gli avvenimenti dal 78 al 63). Ha inoltre scritto due Epistulae ad Cesarem senm de re publica e una Invectiva in Ciceronem, probabilmente scritti dalle scuole di retorica dopo la sua morte; e un poema didascalico, lEmpedoclea.
Opere
Concezione della storia Cesariano convinto, ex tribuno della plebe decide di farsi storico di Roma quando si vede preclusa la carriera politica. Nella mentalità romana il bene facere era considerato più glorioso del bene dicere.egli continua a ritenere le attività pubbliche superiori a quelle private e la riflessione storica si rivela come l’unica possibilità di servire degnamente le istituzioni. La storiografia per lui sarà dunque la degna prosecuzione dell’attività politica in tempi in cui essa non è resa possibile. Egli vuole narrare carptim, per episodi, le gesta dei Romani iniziando dalla congiura di Catilina,passa poi alla guerra giugurtina in cui si contrasta la boria dei nobili. Vuole darsi ragione della grave crisi che Roma sta attraversando da decenni, sceglie gli argomenti in cui può individuare gli episodi emblematici dai quali è scaturita la crisi, è una storiografia politica:indagare il passato per capire il presente (archeologia). Sceglie un impianto di tipo monografico perché vuole concentrarsi su un fatto decisivo da cui illuminare la storia di Roma.Questo tipo di modello era stato trascurato, da Tucidide ricava il procedimento dellarcheologia, i discorsi direttamente attribuiti ai protagonisti, gli excursus, lo stile arduo e austero.Concezione agnostica e individualistica della storia come dramma dei singoli uomini à i protagonisti sono eroi negativi. IL modello storiografico tucidideo viene mescolato a quello ellenistico (pathos, drammatizzazione eventi,variazioni tematiche, digressioni, rilievo dei ritratti) à complessità storica e narrativa. La narrazione non è mai condotta in modo lineare e cronologicamente ordinato à piani diversi. Utilizza il principio di brevitas nella scelta degli avvenimenti: sceglie solo quelli importanti e funzionali al discorso. Gli excursustendono a culminare drammaticamente in un grande discorso o in un ritratto. Evita il macabro. Tema della virtus ormai degradata dall’insorgere di viziose passioni, rappresenta anche i rapporti umani che presiedono ai movimenti storici. Il pessimismo di Sallustio nasce dall’analisi concreta dei fatti, ma l’atmosfera tragica è rischiarata dalla vitalità e dal profondo coinvolgimento morale dell’autore.
Bellum Catilinae Breve ma intensa monografia sul tentativo di colpo di stato messo in atto da Catilina nel 63. Scritta fra il 43 e il 41, non si conosce il titolo originario. Catilina dapprima trama ai danni dello stato poi ,una volta scoperto, si affretta ad allestire un esercito di sbandati e scontenti per muovere guerra contro la repubblica.Si è sostenuto che l’avesse scritta per difendere Cesare dalle accuse di aver partecipato, ma in realtà la crisi dello Stato non è un fenomeno casuale, ma il risultato di una degenerazione morale e sociale che ha avuto inizio con la rovina di Cartagine nel 146. Prima della congiura divide la storia in 2 periodi contrapposti: fino al 146 prevalsero i buoni costumi, dopodiché la città fu in preda allavaritia, allambitio e il culmine fu raggiunto nell’età di Silla (allusione alle proscrizioni antimariane). I congiurati non sono altro che una torbida miscellanea di aristocratici decaduti, plebei indebitati, giovani sbandati e viziosi à posizione di rilievo per gli ex-sillani. Catilina è l’emblema di una generazione traviata dalla politica sillana. Sallustio ricerca le obiettive ragioni di uno sfacelo istituzionale e morale. Le colpe maggiori sono della nobilitas patrizio-plebea. Mentre la plebe urbana pare sia stata sollecitata demagogicamente. Sallustio si pone come un moralista moderato che chiede una politica di maggiore giustizia sociale, denuncia la demagogia dei populares pronti a sfruttare il malcontento. E imparziale, ha una concezione eroica e individualistica della storia, accentra l’attenzione su alcuni grandi personaggi. Catilina è rappresentato come un mostro per limpasto di vizi e di virtù. Esemplari sono i ritratti di Catone e di Cesare che lui confronta à Roma deve la sua potenza all’operato di persone eccezionali dotate di mores diversi ma ugualmente utili alla res publica. Cicerone è confinato in un o spazio narrativo esiguo e ridimensionato à antica inimicizia oppure perché è troppo normale. Esprima le sua concezione dualistica e agnostica della vita umana, l’andamento è epico-tragico.
Bellum Iugurthinum Racconta della guerra sostenuta da Roma contro Giugurta, usurpatore numida, fra il 112 e il 105. Il proemio è simile a quello del Bellum Catilinae. C’è un evidente legame di natura politica con la monografia precedente: vuole tornare ancora più indietro per comprendere come e perché si sia originata quella crisi delle istituzioni. Secondo Sallustio dal 146 era anche iniziato un furibondo conflitto di potere sfociato poi nella lotta dei Gracchi, repressa nel sangue. La guerra giugurtina rappresenta il primo tentativo della plebe di reagire ai soprusi della nobiltà.I discorsi di Memmio e Mario sono incentrati sul tema della potentia nobilitatis che ha compromesso la libertà e la dignità del popolo: la vera nobiltà non deriva dalla stirpe, ma dalla virtus e dalla buona condotta.Le responsabilità della corruzione sono addossate ai nobili che cercano , comprati dalloro di Giugurta, dapprima di differire uninevitabile guerra , poi di giungere a una disonorevole pace. Sono gli uomini nuovi come Mario a consentire una seria conduzione della guerra, ma anche Metello, console della Nobilitas, sa coprirsi di gloria e la vittoria finale è opera dell’astuzia di Silla. Rimprovera a Mario di aver reclutato uomini capite censi(proletarizzazione dell’esercito). Sallustio è dunque un moderato che simpatizza per i populares ma cerca di mantenersi critico ed equidistante nell’analisi degli eventi storici. E stato accusato di tendenziosità e di deformazione dei fatti. Quest’opera si propone come l’approfondimento del discorso iniziato col Bellum Catilinae, le problematiche e la tensione espressiva sono le stesse, ma si amplia la visuale: comprende un numero maggiore di anni, ci sono 2 excursus di natura etno-geografica, è più avventuroso e cresce l’attenzione per gli eventi militari. Di Giugurta non finisce un unico ritratto, bensì costruisce il personaggio poco a poco. Subito è un giovane virtuoso dotato di grandi qualità, si fa notare dai romani e per le loro lusinghe desidera di regnare da solo sulla Numidia à si fa sempre più complesso, ondeggia tra paura ed esaltazione, calcolo e impulsività. La scoperta della congiura lo conduce alla follia, diffida di tutti e cadde in un agguato di Silla.
Historiae Impianto annalistico, 5 libri, narrano anno per anno gli avvenimenti successivi alla orte di Silla (78)e alla fine della sua dittatura, pare volesse ricongiungersi all’episodio di Catilina del 63, ma è morto fermandosi al 67.Ci sono rimaste 4 orationes e 2 epistulae. Formalmente sono la continuazione dell’opera di Sisenna, ma il taglio monografico resta, la sua indagine continua. Fa un rapido excursus sulle antiche origini di Roma. Nel momento in cui Sallustio scrive c’è lo scontro tra Antonio, Ottaviano e Sesto Pompeo. Lui si comporta da cesariano moderato favorevole alle rivendicazioni degli Italici, critica aspramente Pompeo à ambizioso, pieno di vanità, desideroso di potere. Simpatizza per i democratici come Licinio Macro. Il tema dominante resta la denuncia della dominatio paucorum , mentre i pauci si dividono le grandi ricchezze delle conquiste, sulla gran massa dei cittadini grava solo il servizio militare. Vorrebbe dar vita ad uno Stato romano fondato sulla pax e libertas. La più interessante è la lettera di Mitridate ad Arsace per convincerlo ad allearsi con Roma, denuncia l’espansionismo romano àlucido ed intransigente pessimismo sulla storia di Roma e sulle ragioni della sua sopravvivenza.
Fortuna
Appena morto circola una Invectiva in Sallustium pare sia unesercitazione. Leneo gli scaglia contro una satura e lo accusa di aver saccheggiato Cicerone. Apprezzato da Marziale e Quintiliano, Tacito lo imita; celebrato e imitato nell’età degli Antonimi. Zenobio lo traduce in gredo. Apprezzato sia da pagani che cristiani. Ripreso nel Medioevo per i contenuti morali e in età umanistica per il pessimismo moralistico e la sentenziosità. Tacito sarà più apprezzato di lui dalla seconda metà del Cinquecento. L’Alfieri ne farà due traduzioni italiane.
Brano
Postquam Cato assedit, consulares omnes itemque senatus magna pars sententiam eius laudant, virtutem animi ad caelum ferunt, alii al’ios increpantes timidos vocant. Cato clarus atque magnus habetur; senati decretum fit, sicuti ille censuerat. Sed mihi multa legenti, multa audienti, quae populus Romanus domi militiaeque, mari atque terra praeclara facinora fecit, forte libuit attendere, quae res maxime tanta negotia sustinuisset. Sciebam saepenumero parua manu cum magnis legionibus hostium contendisse; cognoveram paruis copiis bella gesta cum opulentis regibus, ad hoc saepe fortunae violentiam toleravisse, facundia Graecos, gloria belli Gallos ante Romanos fuisse. Ac mihi multa agitanti constabat paucorum civium egregiam virtutem cuncta patravisse, eoque factum, uti divitias paupertas, multitudinem paucitas superaret. Sed postquam luxu atque desidia civitas corrupta est, rursus res publica magnitudine sui imperatorem atque magistratuum vitia sustentabat ac, sicuti effeta esset partu, multis tempestatibus haud sane quisquam Romae virtute magnus fuit. Sed memoria mea ingenti virtute, diversis moribus fuere viri duo, M. Cato et C. Caesar. Quos quoniam res obtulerat, silentio praeterire non fuit consilium, quin utriusque naturam et mores, quantum ingenio possum, aperirem.
Igitur eius genus, aetas, eloquentia, prope aequalia fuere; magnitudo animi par, item gloria, sed alia alii. Caesar beneficii ac munificentia magnus habebatur, integritate vitae Cato. Ille mansuetudine et misericordia clarus factus, huic severitas dignitatem addiderat. Caesar dando, sublevando, ignoscendo, Catonihil largiundo gloriam adeptus est. In altero miseris perfugium erat, in alterum malis pernicies. Illius facilitas, huius constantia laudabatur. Postremo Caesar in animum induxerat laborare, vigilare, negotiis amicorum intentus sua neglegere, nihil denegare quod dono dignum esset; sibi magnum imperium, exercitum, bellum novum exoptabat ubi virtus enitescere posset. At Catoni studium modestiae, decoris, sed maxume severitas erat. Non divitiis cum divite neque factione cum factioso, sed cum strenuo virtute, cum modesto pudore, cum innocente abstinentia certabat. Esse quam videri bonus malebat; ita, quo minus petebat gloriam, eo magis illum assequebatur.
Quando Catone ebbe finito di parlare, tutti i presenti nell’assemblea e i senatori stessi in gran numero, lodarono il discorso di Catone, esaltandone la probità, mentre i suoi sostenitori tacciavano i cesariani di scarso appoggio. Catone venne esaltato come eroe e salvatore; il Senato, con un decreto, aderì completamente alla sua decisione.
A me è sempre piaciuto interessarmi, leggendo e ascoltando, delle cose straordinarie e avventurose compiute dai Romani, in pace e in guerra, per terra e per mare; ma badai pure ad indagare le cause che determinarono tali avvenimenti. Mi risulta che spessissimo i Romani, con pochi mezzi, si sono scontrati con grandi eserciti, che grandi re sono stati sbaragliati con poche forze , nonostante l’avversa fortuna; poi sono venuto a sapereche Roma fu soggiogata dalla cultura dei Greci e dalla forza militare dei Galli; ebbene, dopo molte riflessioni ho concluso che, grazie ad azioni giuste ed eminenti, la frugalità prevalse sul lusso; così i Romani, per quanto pochi, riuscirono ad avere la meglio su popoli numerosi. ma dopo che la città fu corrotta dal lusso e dall’ozio, la Repubblica dovette sopportare la degenerazione di generali e magistrati, e, come spossata da un prato, in molte traversie, non ci fu nessuno a Roma che si distinguesse per grandezza e onestà. Ma, a ben vedere, vi furono due uomini di grande virtù, ma di carattere differente: M. Catone e C. Cesare. Essi, dato che l’argomento li ha messi in evidenza non ho creduto opportuno passarli sotto il silenzio e, come potrò, vorrei rivedere dell’uno e dell’altro il carattere e la condotta. Orbene a loro la stirpe, le età, l’eloquenza furono vicini all’uguale, la grandezza dell’ animo pari, stessa gloria, ma differente l’una da quella dell’altro. Cesare per i suoi benefici e per e la liberalità era ritenuto grande, Catone pe rla rettitudine della vita. Cesare con la mitezza e la pietà fu reso famoso, a questo la severità aveve adato prestigio. Cesare col dare, col soccorrere, col perdonare, Catone col nulla concedere ha ottenuto la gloria. Nell’altro è il ricovero della miseria, l’altro è infaticabile per (nei confronti dei) malfattori. Di uno è lodata la facilità, di questo la costanza. Per ultimo Cesare si era proposto in animo di operare senza sosta, di vegliare, sollecito agli affari degli amici, trascurava i suoi, nessuno negava che fosse degno di essere donato; a se un grande comando, l’easercito, bramava la guerra nuova, dove potesse brillare la sua virtù. In Catone, al contrario, c’era desiderio di moderazione, di dignità, ma soprattutto di austerità. Non in ricchezze gareggiava col ricco, ne in intrighi col settario, ma in energia con l’operoso, in ritegno con il morigerato, in disinteresse con l’onesto; voleva piuttosto essere che sembrare buono; così, quanto meno egli cercava gloria, tantopiù essa gli teneva dietro
Francesca Condoleo