Nicola Mastronardi
27 Gennaio 2019I nostri giorni proibiti
27 Gennaio 2019nota critica su due racconti di Antonio Messina:
di Francesca Santucci
“Son io, son solo, sono una moltitudine, il nulla e l’aurora!” E’ questa la frase che campeggia sul sito dello scrittore siciliano (padovano d’adozione) Antonio Messina (www.antoniomessina.com), a convalida dell’ideale manifesto programmatico della sua scrittura, incentrata sulla consapevolezza in chi scrive (Son io), per passione/vocazione/predestinazione, dell’individuale destino di solitudine (son solo), al quale riesce comunque a trovare scampo, inventando innumerevoli storie animate da folle di personaggi diversi (sono una moltitudine), trasfigurando, camuffando, sublimando le minime vicende personali (il nulla), in trame esistenziali, in sospensione tra la fantasia e la realtà, entro cui riversare sempre qualcosa di sé, facendo confluire le emozioni più profonde che albergano nel cuore e le perplessità che agitano il turbinio della mente, dilatandosi in mille altre vite, e ciò è illusorio ma consolatorio, presagio di nuove speranze (l’aurora), varco e scampo, giacché, come dice l’autore: Quando fra le cose reali non si riesce a trovare un respiro, forse è più conveniente consultare il mondo dell’immaginazione e provare ad essere felici dentro un’illusione. Esemplari in tal senso sono i due racconti qui presentati, maturati e scritti in tempi e momenti diversi: “L’ombra nella bottiglia” (del settembre 2004), più intimistico, pur se riferito ad una piaga sociale (l’alcolismo), incentrato sull’abbandono d’amore, l’altro, di più ampio respiro, “La marea” (del gennaio 2005), ispirato dal drammatico evento dello tsunami. Antonio Messina non è, infatti, uno scrittore sensibile ed attento soltanto alle urgenze individuali, ma anche agli accadimenti esterni, non poteva, perciò, non essere turbato da un evento tanto drammatico che ha scosso le coscienze di tutti, scardinando, probabilmente in chiunque, certezze e sicurezze, riconfermando la fragilità e precarietà dell’esistenza in questo mondo che continua ad esserci ignoto, nonostante i voli nello spazio. Perciò, dopo aver sedimentato l’infausto accadimento negli anfratti più reconditi di se stesso, ha, poi, avvertito l’urgenza di convertirlo in racconto, imprimendo un originale tocco personale in trasfigurazione quasi fantasy, immergendolo in un atmosfera di sospensione che, come un velo impalpabile, avvolge la storia, quasi a voler mitigare l’effetto disastroso della mostruosa ondata, che non ha drammaticamente nominato, ma che, in maniera quasi familiare, ha voluto chiamare “marea”, come a voler ridimensionare l’infausto accadimento, ben consapevole, invece, della sua incommensurabile “grandezza”. In entrambi i racconti si evidenziano, poi, ma in maniera più eclatante nel primo, perché ispirato dal Sentimento, dallo smarrimento di fronte all’amore finito (da una parte, non anche dall’altra, e in ciò risiede il pathos del racconto!), numerosi passaggi poetici, rivelatori delle notevoli capacità liriche di Antonio Messina che, pur essendosi finora proposto esclusivamente come autore di prose (grande successo, di pubblico e critica, ha riscosso il suo romanzo, “L’assurdo respiro delle cose tremule”, edito dalla casa editrice “L’autore Libri di Firenze”), tuttavia è anche fine elaboratore di romantiche composizioni poetiche altrettanto suggestive ed intense, che pure meritano attenta lettura.