
La tregua di Primo Levi
1 Agosto 2015
Una questione privata di Beffe Fenoglio
1 Agosto 2015Commento e analisi del romanzo Lessico famigliare di Natalia Ginzburg.
La prefazione
Lessico famigliare è un romanzo del 1963 che racconta la vita di Natalìa dagli inizi degli anni Venti a quelli degli anni Cinquanta. Si tratta di una storia vera, come scrive l’autrice nella prefazione: è un diario scritto a posteriori, un memoriale che risente dell’influenza di Proust per quanto riguarda il genere, ma non lo stile. Del resto, la madre Lidia fu una delle prime lettrici di Proust in Italia, e Natalìa tradusse Alla ricerca del tempo perduto in italiano.
I fatti non sono narrati in ordine strettamente cronologico, bensì seguendo il flusso dei ricordi. Non vi è quindi coincidenza tra fabula e intreccio , poiché presente, passato e futuro si mescolano e si sovrappongono, come nel modello francese. Il testo presenta continue retrospezioni (ad esempio, la morte di Leone Ginzburg, alla quale si accenna con un semplice “e non lo vidi più”, viene narrata quando Natalìa parla del dopoguerra) e anticipazioni (come il ruolo che Balbo avrà nella vita di Natalìa o Adriano Olivetti in quella di Paola, che assume importanza solo successivamente). Il flusso narrativo è continuo; tanto è vero che il libro non è diviso in capitoli, ma presenta soltanto degli stacchi narrativi, segnalati da ampi spazi bianchi tra una riga e l’altra.

Il titolo
Il titolo parte da un’intuizione interessante: tutti noi utilizziamo in famiglia una serie di vocaboli che hanno un significato particolare, comprensibile solo ai membri della famiglia. Quando ci troviamo a scrivere o a lavorare con le parole, dobbiamo inevitabilmente correggere queste storpiature e normalizzare il nostro lessico, impoverendolo e rischiando di perdere quel vocabolario così personale e unico.
Stile
Nel romanzo si alternano piani temporali diversi. Prevalgono gli spazi chiusi (dalle “case” si conosce anche la gente che le abita). Il ritmo varia: si passa da momenti più veloci (scene, ellissi e sommari) a parti più dettagliate (pause, ricordi e riflessioni).
Per quanto riguarda il lessico, il linguaggio usato da Natalìa è sempre molto semplice e chiaro. Nei dialoghi risulta più popolare, immediato e informale, mentre nella narrazione indiretta è più ricercato e formale.
Romanzo autobiografico
Questo testo appartiene al genere del romanzo autobiografico, perché Natalìa, parlando della sua famiglia, parla anche di sé e della propria formazione. Ci sono dunque due figure di Natalìa: una Natalìa-personaggio, raccontata in prima persona, e una Natalìa-narratrice, che osserva e rielabora i ricordi.
Solo storia di una famiglia?
No, il libro rappresenta anche uno squarcio sull’Italia a cavallo tra due guerre (la Prima e la Seconda) e due regimi (il fascismo e la democrazia). Dalla casa dei Ginzburg passano personaggi importanti della politica, come i socialisti del primo Novecento (Turati, Bissolati, Anna Kuliscioff), uomini di cultura come Cesare Pavese, e industriali come Adriano Olivetti, uno dei primi a possedere un’automobile, che amava condividere con chi ne aveva bisogno. Tuttavia, occorre ricordare che tutti gli eventi, anche i più tragici, sono relativizzati e vissuti attraverso una prospettiva personale: la storia pubblica è filtrata e ingrandita dalla lente della storia privata.
La struttura ad anello
Da notare la “circolarità” del testo. Infatti, sia l’inizio che la fine del romanzo sono caratterizzati dal “lessico famigliare”. Anche gli eventi dolorosi e i ricordi drammatici assumono così una veste diversa e sono narrati con grande serenità, quasi fossero una fiaba. L’autrice vuole farci capire che, al di là delle tematiche storiche, politiche e culturali, ciò che contraddistingue il libro è soprattutto quel linguaggio conosciuto e usato dai membri della famiglia.
Il tema della famiglia sembra centrale nella narrativa di Natalìa, che non a caso scrisse anche La famiglia Manzoni . Il personaggio principale del romanzo non è Natalìa né suo padre o i suoi genitori, ma proprio la famiglia.
Il matrimonio
Il matrimonio rappresenta l’emancipazione dei figli dall’autorità burbera del padre, lo stacco dalla famiglia d’origine e la costruzione di una nuova famiglia. Per questo motivo, lui non lo vede mai di buon occhio. Eppure, basta una frase, un’espressione o una parola “segreta”, come la frase della madre “Ai piccoli una mela, ai grandi il diavolo che li pela”, per ridare unità alla famiglia originaria, evocando la comunità di affetti e intenti del passato.
Il tono fiabesco
Si crea così un codice, un insieme di “frasi famose”. Questo aspetto conferisce al testo un tono fiabesco, grazie al quale eventi anche drammatici vengono raccontati con distacco e leggerezza.
I personaggi
I personaggi non sono statici, ma soggetti a cambiamenti, così come cambiano i giudizi su di loro in base agli eventi descritti. Nella seconda parte di questo contributo approfondiremo la conoscenza di alcuni di essi.
Il padre Giuseppe Levi
Giuseppe Levi è un personaggio molto interessante, pieno di abitudini insolite: fa la doccia fredda la mattina (così come sua moglie), mangia lo yogurt appena alzato, che chiama “mezzorado”, e ha l’abitudine di dare nomi inusuali alle cose, come chiamare le barzellette “scherzettini”, gli sci “ski” o le pellicine delle dita “pipire”. Importante è anche la sua origine triestina: come per la moglie, si comprendono certe storpiature in senso “veneto” delle parole.
Giuseppe è furibondo e sanguigno, ma sincero: non si vergogna mai di dire apertamente quello che pensa. Critica tutti, definendoli “sempi” (sciocchi), ma in fondo vuole bene a tutti. È burbero, ma con un cuore grande.
Altri termini usati da Giuseppe Levi, il padre di Natalìa, sono: malignazzo e sempiezzo (stupidata).
Durante la guerra fu costretto ad emigrare a Liegi per sfuggire all’arresto.
La madre Lidia
Lidia, anch’essa di origini triestine ma cattolica, è in netto contrasto con il marito: è tranquilla, paziente, ama chiacchierare con le amiche che invita spesso a casa ed è devota alla famiglia, per la quale ha rinunciato a completare gli studi di medicina.
Lidia si affeziona facilmente ai luoghi: ogni volta che si trasferisce, ad esempio da Torino a Palermo o da una via di Torino all’altra, non riesce a staccarsi dalla vecchia casa, ma si innamora subito di quella nuova. Al collegio era una ragazza vivace e creativa, con tanta voglia di divertirsi. Una sua poesia inventata, che tutti conoscono a memoria, è questa:
“Io son don Carlos Tadrid / e sono studente in Madrid.”
Gino
Gino è il figlio che ha sempre soddisfatto maggiormente il padre, sia per la sua passione per la montagna sia per il successo negli studi scientifici.
Mario
Mario fa arrabbiare molto il padre perché critica Turati e i socialisti dell’inizio del secolo scorso. Il padre lo considera un fascista, ma in realtà non lo è affatto: Mario diffonde opuscoli antifascisti e viene costretto a emigrare in Francia. Padre e fratello finiscono in carcere solo per essere parenti di un cospiratore. Mario approfondisce il proprio amore per la Francia durante questo periodo e lo conferma nel secondo dopoguerra, dove trova una nazione opposta a un’Italia con una scuola male organizzata, una politica e una cultura vetuste.
Alberto
Alberto è l’ultimo dei fratelli ed è il meno diligente a scuola. Fa arrabbiare molto il padre, ma la madre cerca di fargli capire che gli amici di Alberto, come Pajetta, sono intelligenti e antifascisti. Il padre si arrabbia anche quando Alberto viene arrestato e rischia la corte marziale per non essere rientrato in tempo in caserma dopo essere andato a sciare con un’amica. Per questo lo chiama “Mascalzone, farabutto”. Alberto si iscrive poi alla facoltà di medicina, ma il padre inizialmente non crede in lui, convinto che passi gli esami solo perché è suo figlio. In seguito, però, deve ammettere di aver sbagliato nei suoi confronti. Si sposa con Miranda.
Paola
Paola è l’unica sorella di Natalìa. Sposerà Adriano Olivetti, che, come suo padre, ha i capelli rossi — un particolare molto apprezzato in casa Levi, assieme all’antifascismo e a una certa sobrietà. Nonostante la ricchezza, gli Olivetti vivevano in modo semplice.
La guerra
Nei primi anni a Torino non si sentono molte ripercussioni del conflitto. Bisogna aspettare il 1942, con i bombardamenti e l’armistizio, per rendersi conto della gravità della situazione.
Leone Ginzburg
All’epoca, la moglie perdeva il proprio cognome e assumeva quello del marito. Quando Natalìa sposa un ebreo di origini russe, per suo padre non è più Natalìa Levi, ma Natalìa Ginzburg. È singolare il fatto che lei abbia tenuto il cognome del marito anche da scrittrice, testimonianza della profonda sintonia umana con quell’uomo.
In questo libro, i sentimenti non sono espressi in modo romantico o passionale, ma con discrezione e distacco. Paradossalmente, emerge comunque un forte legame con il marito e il dramma di un uomo che avrebbe potuto essere un grande uomo politico, ma fu travolto dalla guerra e dall’ideologia dominante.
Le sue qualità di grande conversatore emergono in contrasto con l’isolamento e la scarsa capacità di comunicazione di Pavese. Si comprende così anche il suicidio di Pavese, dovuto alla sua profonda solitudine e alle paure angoscianti: sin dagli incontri serali con Leone si capiva che non amava la vita.
Giulio Einaudi
Fonda la casa editrice negli anni del fascismo con la collaborazione di Leone Ginzburg, tra mille difficoltà. Frequenta la casa dei Levi, ma è sempre molto timido e riservato. Utilizza questa sua caratteristica comportamentale per minimizzare le proposte editoriali ricevute nel secondo dopoguerra, quando la sua casa editrice diventerà una delle più prestigiose. Come diceva Pavese: “Noi non abbiamo bisogno di nuove idee, dal momento che già ne avevano loro.” Natalìa diventa sua collaboratrice nel dopoguerra. Curiosamente, nel romanzo non viene mai chiamato col suo nome, ma semplicemente “l’editore” (anche di questo libro).
Rognetta
Rognetta è un personaggio complementare alla famiglia Levi: mentre i Levi si spostano raramente da Torino, Rognetta viaggia frequentemente. I Levi hanno spesso una visione distorta, quasi paesana, delle città e dei luoghi lontani dall’Italia.
Abruzzo
L’Abruzzo è la terra del confino della famiglia di Natalìa e di Leone: qui si svolgono gli ultimi momenti di riunione tra i genitori e i figli, prima che Leone venga arrestato e portato a Roma, dove verrà ucciso dai tedeschi.
Le donne di servizio
La Natalina è la domestica in casa Levi per decenni, mentre la Martina lavora in casa Ginzburg. Entrambe sono trattate con rispetto. Natalìa, quando si sposa e ha figli, riconosce il valore del lavoro e si vergogna di chiedere alla Martina di occuparsene.
Lo zio demente e Silvio
In realtà, lo zio è chiamato così perché cura i dementi, non perché lo sia lui stesso. Silvio era un parente della mamma che si è tolto la vita, e che torna spesso alla mente di Lidia.
Barbison
Barbison è un personaggio decisamente secondario, eppure il romanzo si conclude con il suo nome. Quando il padre di Natalìa dice: “Ah, non cominciamo adesso col Barbison! Quante volte l’ho sentita questa storia!”, sembra alludere alla struttura circolare del testo, che potrebbe ricominciare da capo come un cerchio senza fine.
La formazione letteraria di Natalìa
Natalìa inizia a scrivere novelle che fa leggere a Pitigrilli, uno scrittore di successo dell’epoca, che però faceva da spia del regime. A guidare la sua crescita letteraria è invece Felice Balbo, grazie alle sue critiche pazienti e ai suoi giudizi illuminanti. Balbo aveva una moglie, Lola, che non condivideva le sue idee e che aveva lavorato per la casa editrice Einaudi ed era stata incarcerata per due mesi dai fascisti. Balbo e la moglie si trasferiscono a Roma, dove dimostrano di non saper educare i loro figli. Natalìa si trasferisce a Roma e si risposa.
La sua scrittura deve emanciparsi dall’ansia di scrivere tipica del secondo dopoguerra, dopo l’epoca del “silenzio” imposto dal fascismo. Scrive: “Era necessario tornare a scegliere le parole, a scrutarle per sentire se erano false o vere, se avevano o no vere radici in noi.” Da sottolineare l’urgenza di verità nella scrittura e il richiamo a quelle radici, contrapposte alla “comune illusione”: Lessico famigliare si colloca esattamente in questa prospettiva.
Per approfondire Natalia Ginzburg su questo sito:
La vita e le opere
-
Natalia Ginzburg: la vita e le opere di atuttascuola©
-
Biografia di Natalia Ginzburg di atuttascuola©
Le piccole virtù (saggio: memorie e riflessioni)
-
VIDEO Da Le piccole virtù “Inverno in Abruzzo” di Natalia Ginzburg 1A videolezione scolastica di Luigi Gaudio su youtube
-
Inverno in Abruzzo di Natalia Ginzburg
-
Analisi di ‘Le piccole virtù’ di Natalia Ginzburg (1962)
Lessico famigliare (romanzo)
-
VIDEO Lessico famigliare di Natalia Ginzburg videoriassunto di Luigi Gaudio su you tube
-
Analisi e recensione di Lessico famigliare di Natalia Ginzburg di atuttascuola©
-
Introduzione a Lessico famigliare di Natalia Ginzburg di atuttascuola©
-
Riassunto e commento del romanzo Lessico famigliare di Natalia Ginzburg di atuttascuola©
-
Compito di Italiano su “Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg di Miriam Gaudio
Caro Michele (romanzo)
-
VIDEO Caro Michele di Natalia Ginzburg videoriassunto di Luigi Gaudio su you tube
-
Commento di “Caro Michele” di Natalia Ginzburg
È stato così (romanzo)
Commenti sui video del prof. Gaudio
-
Grazie mille, sto preparando un esame sul testo “Lessico famigliare di Natalia Ginzburg“.
Davvero ottime osservazionisul suo video
Veronica Micciarelli -
Egregio professore, ho letto parecchi anni fa questo libro [Lessico famigliare di Natalia Ginzburg], la ringrazio moltissimo per la sua spiegazione, che mi è stata molto utile. Complimenti vivissimi.
Gianpiero Faravelli