Seconda guerra mondiale
27 Gennaio 2019Paul Verlaine di Carlo Zacco
27 Gennaio 2019Biografia, poetica e due esempi di sonetti di Gerard Hopkins, del prof. Carlo Zacco
Gerard Manley Hopkins (1844 – 1889)
Reprime la sua vena poetica finché dai suoi superiori non arriva la richiesta di scrivere un compianto per la morte di cinque suore durante un naufragio: ne esce il naufragio del Deutschland, cui seguiranno le altre raccolte, pubblicate tutte postume nel 1918.
La sua produzione si divide in sonetti «gioiosi» e sonetti «oscuri». La sua è un’ispirazione complessa poiché al senso di ignoto, di abisso dello spirito si unisce il mistero della religione rivelata, che egli integra nella sua poetica. Hopkins vuole esprimere tutte le dissonanze e le asprezze dell’esistenza, nonché i vuoti dell’anima, sempre in bilico.
– Il senso religioso è reale e non astratto, Hopkins non fa un vago riferimento alla religiosità come Rilke, ma un esplicito richiamo alle verità rivelate della fede cattolica.
– a questo si unisce anche una lucidissima ricerca tecnica e teorica.
Sul piano linguistico Hopkins compie una sperimentazione che tende all’iper-semanticità, alla valorizzazione etimologica delle parole (in controtendenza dunque rispetto agli sviluppi della poesia contemporanea); sul piano metrico è sua la sperimentazione dello sprung-rhythm, ritmo sospeso.
– L’oscurità e l’asprezza del suo linguaggio non sono dovuti alla volontà di velare il messaggio, rendendolo volutamente oscuro e misterioso, bensì alla difficoltà stessa di esprimere una realtà che a fatica si riesce a cogliere.
La bellezza cangiante
Fa parte dei «sonetti gioiosi». Si trova in una raccolta del 77 in cui Hopkins legge nella natura il segno di Dio, guardando ad essa con gioia.
Fa parte dei «sonetti gioiosi». Si trova in una raccolta del ’77 in cui Hopkins legge nella natura il segno di Dio, guardando ad essa con gioia.
- Il tema è quello dell’uno e il molteplice. Si tratta di una sorta di plazer, una enumerazione di cose buone; il poeta elenca alcuni aspetti della infinita mutevolezza della natura, e ne loda i singoli elementi, anche umili, nella molteplicità dei loro possibili aspetti. Ma se ogni piccolo aspetto del creato è bello pur nella sua effimera mutevolezza, tanto più lo sarà il suo creatore, unica bellezza immutabile.
GLORY be to God for dappled things –
For skies of couple-colour as a brinded cow; For rose-moles all in stipple upon trout that swim; Fresh-firecoal chestnut-falls; finches’ wings; Landscape plotted and pieced—fold, fallow, and plough; And áll trádes, their gear and tackle and trim.
All things counter, original, spare, strange; Whatever is fickle, freckled (who knows how?) With swift, slow; sweet, sour; adazzle, dim; He fathers-forth whose beauty is past change: Praise him. |
Gloria a Dio per le cose che ha spruzzate:
i cieli bicolori, pezzati come vacche, la striscia roseo-biliottata della trota in acqua, il tonfar delle castagne – crollo di tizzi giovani nel fuoco – e l’ali del fringuello; per le toppe dei campi arati e dissodati, e tutti i traffici e gli arnesi, e tutto ch’è fuor di squadra, difforme, impari e strambo, tutto che muta, punto da lentiggini (chissà come?) di fretta o di lentezza, di dolce o d’aspro, di lucore o buio. Quegli le esprime – lode a Lui – ch’è sola bellezza non mutabile. |
Traduzione letterale:
GLORIA a Dio per tutte le cose, anche quelle imperfette
per i cieli di due colori come una vacca striata;
per la scia a pois, punteggiata, delle trote che nuotano;
per le cascate di castagne fresche di carbone; ali di fringuello;
per il paesaggio abbozzato e pezzato, incolto e arato;
e per tutti i mestieri, i loro ingranaggi e il loro ordine.
per tutte le cose che, al contrario, sono originali, scarne, strane;
per qualunque cosa sia volubile, lentigginosa (chi sa come?)
con il rapido, con il lento; il dolce e l’aspro; l’abbagliare e il buio;
Egli genera le cose, la cui bellezza è immutabile:
Lodalo!
Note
v.1 Dio: è rappresentato come un pittore e il creato è come una tela multicolore;
v2. le vacche: tramite una metafora zoomorfa il cielo bicolore viene paragonato alla pelle di una vacca: un animale comune, umile, ordinario. Nulla è escluso in questa enumerazione.
v3. Biliottato: francesismo, significa punteggiato, come da lentiggini.
v4. le castagne: mentre cadono.
Commento
Tutto è rappresentato nella fase del mutamento, nulla resta mai uguale a sé stesso. Anche il discorso è frammentato in corrispondenza con ciò che viene detto. I singoli sintagmi, specie nell’originale inglese (lingua che a differenza dell’italiano ha per lo più parole brevi, monosillabiche) sono fortemente allitterativi e molto ritmati.
La traduzione. Nella traduzione la penna di Montale si fa sentire: tonfar, lucore, biliottata (un francesismo piuttosto ricercato), è sua l’inserzione del segmento crollo di tizzi giovani nel fuoco, questo in traduzione dell’originale fresh-firecoal chestnut-fall.
Montale cerca di rispettare i suoni nonostante l’italiano sia una lingua molto diversa dall’Inglese, fatta per lo più di parole monosillabiche.
Tuttavia il traduttore opera delle scelte più conservative verso il suono che verso il significato:
chestnut-fall > tonfar delle castagne;
fresh firecoal > tizzi giovani nel fuoco;
L’originale. Nella versione originale alcuni elementi spiccano di più: dittologie fortemente allitterative come couple coloured, fresh-firefall, fold-follow: formule sintetiche con nessi analogico fonologici più che semantici. Inoltre si nota qui quella che è stata definita una «frizione fonica violenta», un continuo scontro di elementi dissonanti: l’armonia è nell’insieme.
Mi sveglio e sento
- Questo fa parte invece dei «sonetti oscuri», una sorta di enueg.
- La raccolta dei «sonetti oscuri» risale agli ultimi anni della sua vita, dove Hopkins mette insieme l’espressione dei lati più problematici della fede. Non è possibile rendere conto di ciò che prova l’anima del poeta, ma è solo possibile fornirne dei brevi flash.
I wake and feel the fell of dark, not day.
What hours, O what black hours we have spent This night! what sights you, heart, saw; ways you went! And more must, in yet longer light’s delay.
With witness I speak this. But where I say Hours I mean years, mean life. And my lament Is cries countless, cries like dead letters sent To dearest him that lives alas! away.
I am gall, I am heartburn. God’s most deep decree Bitter would have me taste: my taste was me; Bones built in me, flesh filled, blood brimmed the curse.
Selfyeast of spirit a dull dough sours. I see The lost are like this, and their scourge to be As I am mine, their sweating selves; but worse. |
Mi sveglio e sento la caduta dell’oscurità, non del giorno.
Che ore, oh che ore nere abbiamo trascorso Questa notte! ciò che vedi, cuore, hai visto; modi in cui sei andato! E più deve, in un ritardo ancora più lungo della luce.
Con testimonianza dico questo. Ma dove dico Ore intendo anni, significa vita. E il mio lamento È grida innumerevoli, grida come lettere morte inviate Al carissimo colui che vive ahimè! lontano.
Io sono fiele, sono bruciore di stomaco. La legge più imperscrutabile di Dio mi fa assaggiare l’amaro: il mio gusto ero io; Ossa costruite in me, carne piena, sangue traboccante della maledizione.
Lievito di spirito un impasto opaco si inacidisce. Vedo I perduti sono così, e il loro flagello sarà Come io sono mio, i loro sé sudati; ma peggio |
Del sonetto c’è solo la gabbia esterna, e nell’originale anche lo schema di rime (non mantenuto in traduzione), per il resto i versi sono lungi; singole parole, singoli sintagmi vengono iterati spasmodicamente.
Il groviglio di terribili immagini finali vuole rendere conto del tormentoso travaglio interiore del poeta, per cui la fede è consolazione, ma anche causa del disagio.
Il tutto è molto frammentario, il verso è spezzato e procede sempre continuamente a singhiozzi, con frequenti pause, iterazioni, scontri ritmici, e numerosi enjambements.