Fabrizia Di Pietro
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Nacque a San Mauro[1] (Forlì) nel 1855. A soli 12 anni si trovò orfano di padre[2], assassinato per non permettergli di partecipare in nome della famiglia Torlonia, di cui era dipendente, ad unasta.
In poco tempo morì anche la madre, due fratelli e la sorella maggiore. Si trovò così ad accudire le due sorelle[3]. Fu sempre, però indirizzato agli studi, era brillante nell’università di lettere a Bologna in cui divenne il pupillo di Giosuè Carducci, tanto che, essendosi avvicinato alle idee socialiste di Andrea Costa, partecipò ad una manifestazione in cui venne arrestato e fu proprio Carducci ad intercedere per la sua liberazione. Nonostante queste idee fu sempre sensibile al fenomeno dell’immigrazione e favorevole alla conquista della Libia, perché sapeva quanto fosse dura l’immigrazione in America[4].
Dopo aver insegnato in vari licei, nel 1895 prese la cattedra di Carducci.
Nel 1891 pubblicò una raccolta di liriche: Myricae[5].
Aveva una conoscenza profonda del latino tanto che scrisse dei versi e partecipò ad un concorso bandito a Copenaghen, che vinse per quattordici volte. I soldi guadagnati li utilizzò per costruire una tenuta a Castelvecchio, in cui scrisse i canti di Castelvecchio. Successivamente pubblicò su una rivista i Poemi conviviali[6].
I principi della sua poetica sono esposti nel Fanciullino, in cui afferma che il poeta deve conservare il fanciullino che è in lui, quella capacità di stupirsi della vita. I critici per questo lo definirono un ingenuo[7], ma in realtà Pascoli che era un grande conoscitore delle letterature classiche, conosceva Il Fedone di Platone.[8]
Pascoli, influenzato dalla corrente del Decadentismo[9], concepisce la poesia non come uno strumento conoscitivo, ma a qualcosa che dà voce al fanciullino che è in noi. Il suo lessico è nuovo, semplice ma polisemico, mescola parole dotte a termini dialettali[10]. Grande rilievo hanno gli aspetti fonici, poiché la poesia passa attraverso i suoni; egli utilizza molto le onomatopee e le allitterazioni. Usa anche l’analogia, un qualcosa che ti evoca qualcosa di più profondo, la sua poesia infatti è molto simbolica. Per quanto riguarda la metrica fa uso di tutti i tipi di versi, usa anche il novenari, ma preferisce l’endecasillabo[11]. Gli autori di quel periodo erano alla ricerca di nuove forme metriche[12].
Morì a Bologna nel 1912.
[1] Attualmente chiamato San Mauro-Pascoli
[2] gli dedicò X agosto, in cui paragona il padre Ruggero ad una rondine che porta da magiare ai suoi figli
[3] questo legame, il critico Giorgio Barbari Squarotti definisce ossessivo, quasi incestuoso. Ma bisogna considerare il fatto che Pascoli non si sposò perché innanzitutto scomodo alle sorelle e poi perché si sentì sempre in obbligo verso loro. Scrive il Gelsomino notturno, un epitalamio dedicato ad un amico che si stava per sposare, in cui scrive che tutte le api sono tornate allalveare solo lape ritardataria non trova posto.
[4] La Grande Proletaria si è mossa , Itali
[5] viene dal latino = tamerici(cespugli). Citazione di Virgilio nella quarta egloga delle Bucoliche, in cui dice che non vuole trattare di cose umili, a differenza di Pascoli.
[6] Di cui fa parte Alexandros
[7] fu soggetto sempre ad una critica feroce, nonostante la fortuna poetica. Suo grande ammiratore fu Pierpaolo Pisolini, che fece su di lui la tesi
[8] dialogo con Cibes Tebano
[9] sviluppato in Francia, maggiori esponenti Baudelair e Verlain. Spiccato è il sentimento della decadenza. In Italia D’Annunzio, Fogazzari, Pascoli.
[10] Lavandare nell’ultima quartina riporta un canto popolare
[11] che definisce il bellissimo tra i versi, con cui traduce parte dell’Eneide
[12]anche Carducci, egli provò adattare la metrica dei versi latini (esametro dattilico, 6 piedi, una sillaba lunga e due brevi) a quelli italiani -> metrica barbara (novembre,le odi barbare metrica saffica)
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