Verbi della terza coniugazione
27 Gennaio 2019Maurizio Zini
27 Gennaio 2019dalla Divina commedia di Dante Alighieri
di Carlo Zacco
Inferno XXXIII
Ultime malebolge. Consiglieri fraudolenti > seminatori di discordia (affetti da varie malattie: idropisia, scabbia) > falsari (piantati nella terra dall’ombelico in giù);
Il Cocito. Dante e Virgilio escono dalle Malebolge ed entrano nel IX cerchio dell’inferno, chiamato Cocìto, dove sono posti i traditori verso chi si fida (quelli verso chi NON si fida erano nelle Malebolge);
– Il Cocìto è suddiviso in quattro zone:
1) Caina: da Caino, primo traditore di suo fratello;
– qui ci sono i traditori dei parenti;
2) Antenòra: da Antènore, famoso traditore della sua città, Troia: alcuni racconti tardoantichi (Servio) parlano di Antènore come colui che consegnò a Ulisse e Diomede il Palladio, in cambio della salvezza per sé e per la sua famiglia;
– qui sono puniti i traditori della patria;
3) Tolomea: da Tolomeo, re egiziano: questi fece uccidere Pompeo, che si era rifugiato in Egitto dopo la sconfitta a Farsàlo;
– qui sono punti i traditori degli ospiti;
4) Giudecca: da Giuda, traditore di Cristo;
– qui sono punti i traditori dei benefattori.
Il Cocito è un ambiente freddo, per la precisione un fiume di ghiaccio. La superficie del terreno, infatti, è completamente ghiacciata, e i dannati vi sono conficcati dentro, più o meno in profondità in base alla gravità del loro peccato.
– il contrappasso è per analogia: come in vita hanno avuto il cuore freddo, mancando di carità nel tradire il prossimo, così ora sono conficcati nel ghiaccio.
– C’è un’altra caratteristica: quelli che in vita erano nemici, lo sono anche all’inferno, e scontano insieme la loro pena.
Fine canto XXII. Dante e Virgilio passano da Caina ad Antenora, e Dante vede due anime in uno stesso buco ghiacciato;
– l’una ha il capo sopra l’altra, e gli rode il cranio coi denti;
– Dante si rivolge a quest’anima, chiedendole di raccontare la sua storia, e promettendo di riferirla ai vivi, a maggior infamia del suo nemico.
vv. 1-78. La storia di Ugolino. L’anima a cui Dante ha rivolto la domanda solleva la bocca dal cranio che stava rodendo, e dopo essersi pulita la bocca sui capelli, incomincia a parlare:
– dice di essere il Conte Ugolino, e l’avversario, e quello che gli sta sotto è l’Arcivescono Ruggeri, che lo ha tradito, facendolo rinchiudere nella in una torre detta «Muda», presso Pisa, insieme ai due figli, lasciandoli morire di fame. Finito il racconto riprende a mordergli la testa.
Conte Ugolino. Ugolino della Gherardesca, Ghibellino;
– riuscì, dopo aver partecipato ad una guerra contro Genova, a prendere pieni poteri nella città di Pisa;
– per evitare che Firenze e Lucca potessero allearsi con Genova in una nuova guerra, cedette loro dei castelli, in modo che le due città rimanessero neutrali;
– questo fu interpretato come un tradimento da parte degli altri Ghibellini suoi alleati;
Ruggieri degli Ubaldini. Arcivescovo di Pisa, legato anch’egli alle più importanti famiglie ghibelline;
– accettò di allearsi con Ugolino, e aveva stretto un accordo con lui, ma poi lo tradì, sobillando la città contro di lui, e facendolo rinchiudere in una torre con i suoi figli, lasciandoli morire di fame.
La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola a’ capelli del capo ch’elli avea di retro guasto. Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’io rinovelli disperato dolor che ‘l cor mi preme già pur pensando, pria ch’io ne favelli. Ma se le mie parole esser dien seme che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo, parlar e lagrimar vedrai insieme. Io non so chi tu se’ né per che modo venuto se’ qua giù; ma fiorentino mi sembri veramente quand’ io t’odo. Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino, e questi è l’arcivescovo Ruggieri: or ti dirò perché i son tal vicino. Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri, fidandomi di lui, io fossi preso e poscia morto, dir non è mestieri; però quel che non puoi avere inteso, cioè come la morte mia fu cruda, udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso. Breve pertugio dentro da la Muda, la qual per me ha ‘l titol de la fame, e che conviene ancor ch’altrui si chiuda, m’avea mostrato per lo suo forame più l’une già, quand’ io feci ‘l mal sonno che del futuro mi squarciò ‘l velame. Questi pareva a me maestro e donno, cacciando il lupo e ‘ lupicini al monte per che i Pisan veder Lucca non ponno. Con cagne magre, studïose e conte Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi s’avea messi dinanzi da la fronte. In picciol corso mi parieno stanchi lo padre e ‘ figli, e con l’agute scane mi parea lor veder fender li fianchi. Quando fui desto innanzi la dimane, pianger senti’ fra ‘l sonno i miei figliuoli ch’eran con meco, e dimandar del pane. Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli pensando ciò che ‘l mio cor s’annunziava; e se non piangi, di che pianger suoli? Già eran desti, e l’ora s’appressava che ‘l cibo ne solëa essere addotto, e per suo sogno ciascun dubitava; e io senti’ chiavar l’uscio di sotto a l’orribile torre; ond’ io guardai nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto. Io non piangëa, sì dentro impetrai: piangevan elli; e Anselmuccio mio disse: “Tu guardi sì, padre! che hai?”. Perciò non lagrimai né rispuos’ io tutto quel giorno né la notte appresso, infin che l’altro sol nel mondo uscìo. Come un poco di raggio si fu messo nel doloroso carcere, e io scorsi per quattro visi il mio aspetto stesso, ambo le man per lo dolor mi morsi; ed ei, pensando ch’io ‘l fessi per voglia di manicar, di sùbito levorsi e disser: “Padre, assai ci fia men doglia se tu mangi di noi: tu ne vestisti queste misere carni, e tu le spoglia”. Queta’mi allor per non farli più tristi; lo dì e l’altro stemmo tutti muti; ahi dura terra, perché non t’apristi? Poscia che fummo al quarto dì venuti, Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi, dicendo: “Padre mio, ché non m’aiuti?”. Quivi morì; e come tu mi vedi, vid’ io cascar li tre ad uno ad uno tra ‘l quinto dì e ‘l sesto; ond’ io mi diedi, già cieco, a brancolar sovra ciascuno, e due dì li chiamai, poi che fur morti. Poscia, più che ‘l dolor, poté ‘l digiuno». Quand’ ebbe detto ciò, con li occhi torti riprese ‘l teschio misero co’ denti, che furo a l’osso, come d’un can, forti. |
Fiero pasto: pasto degno di una fiera; di retro guasto: che gli aveva roso dietro la nuca; disperato: senza speranza; seme: debbano essere la causa; parlare e lagrimare: zeugma; mestieri: non è necessario; Muda: la torre in cui Ugolino è stato rinchiuso; detta così perché originariamente vi erano tenute le aquile per la muta delle piume; e veniva usata anche come prigione. – si chiuda: nella quale accadrà che altri verranno chiusi; – più l’une: cicli lunari > mesi; – Cacciando..ponno: in una battuta di caccia contro un lupo e i suoi lupacchiotti, sul monte a causa del quale i pisani non possono vedere Lucca (> monte S. Giuliano); – Con cagne..fronte: aveva posto davanti a sé cagne magre ed esperte, insieme a Gualandi, Sigismondi e Lanfranchi. (>famiglie ghibelline di Pisa). Dopo una piccola corsa, il padre (lupo) e i suoi figliuoli mi sembravano stanchi, e mi pareva di vedere [le cagne] lacerare i loro fianchi con zanne aguzze; – per suo sogno: ognuno aveva già il presentimento; – impetrai: divenni di pietra; – L’altro sol: il secondo giorno senza cibo. – per quattro visi: Ugolino vede se stesso nei volti dei suoi figli, e per il dolore si morde entrambe le mani; – le spoglia: mangiale; – t’apristi: perché non ti sei squarciata, per inghiottire tutti noi, e porre fine a questa sofferenza? – Padre mio: richiamo evangelico; – come tu mi vedi > morto; – poi che fur morti: dopo la loro morte, li ho chiamati per altri due giorni; – il digiuno: poi la fame prevalse sul dolore; |
Poscia, più che ‘l dolor, potè il digiuno. Uno dei versi più ambigui della commedia, e celebre esempio di reticenza.
– tradizionalmente veniva esclusa la tecnofagia, cioè il cibarsi dei figli, e si intendeva: «ad uccidermi è stata la fame, non il dolore».
– le fonti storiche dicono che la torre fu aperta dopo nove giorni, e i corpi erano intatti, non mangiati;
La tecnofagia. L’ipotesi di tecnofagia è stata avanzata in epoca moderna, nel Novecento, sulla base di:
– alcune fonti medievali in effetti parlano di questo;
– inoltre l’apostrofe «ahi dura terra, perché non t’apristi», riprende un verso simile di Seneca, il Tieste, la tragedia in cui al padre viene servita a tavola la carne dei figli;
– Ugolino poi fa molti riferimenti alla fame, e all’inferno morte il cranio di Ruggieri;
– Borges risolve la questione: per lui Dante non ha voluto che noi pensassimo alla tecnofagia, ma solo che lo sospettassimo;
79-90. Invettiva contro Pisa. Dopo il racconto di Ugolino, Dante esplode una dura invettiva contro Pisa:
– auspica che le due isole tirreniche, la Gorgona e la Capraia, si muovano nel mare fino a chiudere la foce dell’Arno, così che tutti i cittadini anneghino;
– la città è definita novella Tebe per i suoi delitti;
– è colpevole non tanto per la morte di Ugolino, quanto di quella dei suoi figli innocenti;
Ahi Pisa, vituperio de le genti del bel paese là dove ‘l sì suona, poi che i vicini a te punir son lenti, muovasi la Capraia e la Gorgona, e faccian siepe ad Arno in su la foce, sì ch’elli annieghi in te ogne persona! Che se ‘l conte Ugolino aveva voce d’aver tradita te de le castella, non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. Innocenti facea l’età novella, novella Tebe, Uguiccione e ‘l Brigata e li altri due che ‘l canto suso appella. |
– vituperio: vergogna dei popoli d’Italia; – i vicini: soprattutto Lucca e Firenze, nemiche di Pisa; – Capraia/Gorgona: all’epoca dominio di Pisa; – aveva voce: aveva fama (quindi non lo dà per scontato); – de le castella: compl. di relazione: riguardo ai castelli; – a tal croce: a tale supplizio; – Innocenti: in inizio di verso, la parola si staglia come la sola e vera accusa, che ricade su tutta la città. – l’età novella: l’età giovanile; – novella Tebe: nuova Tebe, perché ne rinnova gli orrori; – appella: nomina; cioè Anselmuccio e Gaddo. |
Ahi Pisa…: l’invettiva violenta prorompe dall’animo di Dante, quasi a trovar sfogo, come spesso gli accade, alla forza e intensità dei sentimenti patiti.
– Ma tutto l’orrore e la pietà , per cui si invoca un castigo divino sulla città, sono per i quattro giovani innocenti messi a tal croce insieme al colpevole;
– muovasi: il movimento è biblico: è infatti propria della Scrittura la punizione divina su città intere, per colpa dei loro abitanti. E quindi assurdo e ingenuo osservare che così, per quattro innocenti, Dante farebbe morire tutti gli innocenti di Pisa;
– l’esclamazione ha funzione altamente retorica, di monito profetico, ricordando come Dio punisce i popoli per le loro atrocità, commesse collettivamente;
– essa fa così chiaramente intendere che non di un singolo fatto privato qui si tratta, ma di un male che investiva tutta la società civile del tempo, quell’odio crudele tra le fazioni che Dante, la cui vita ne portava il segno, non si stanca di denunciare.
91-108. La Tolomea. Dante e Virgilio entrano nella Tolomea:
– qui c’è un nuovo tipo di pena: mentre nell’Antenòra erano col campo all’ingiù, qui sono con la testa allinsù, in modo tale che le loro lacrime si ghiacciano all’esterno, accumulandosi dentro il bulbo oculare, e aggiungendo dolore;
– Dante qui sente anche soffiare del vento, e chiede a Virgilio come ciò possa avvenire, dato che non c’è atmosfera:
– Virgilio non risponde, mantiene la suspense, e gli dice che presto scoprirà l’origine del vento.
Noi passammo oltre, là ‘ve la gelata ruvidamente un’altra gente fascia, non volta in giù, ma tutta riversata. Lo pianto stesso lì pianger non lascia, e ‘l duol che truova in su li occhi rintoppo, si volge in entro a far crescer l’ambascia; ché le lagrime prime fanno groppo, e sì come visiere di cristallo, rïempion sotto ‘l ciglio tutto il coppo. E avvegna che, sì come d’un callo, per la freddura ciascun sentimento cessato avesse del mio viso stallo, già mi parea sentire alquanto vento; per ch’io: «Maestro mio, questo chi move? non è qua giù ogne vapore spento?». Ond’ elli a me: «Avaccio sarai dove di ciò ti farà l’occhio la risposta, veggendo la cagion che ‘l fiato piove». |
– Noi passammo oltre: nessuna straziante scena può fermarli; il duro viaggio consiste proprio in questo: nel conoscere, e abbandonare, le colpe umane e le loro dolorose conseguenze (la guerra.. della pietate); – gente: categoria di peccatori; – rintoppo: ostacolo; – in entro: in dentro, negli occhi stessi; – fanno groppo: formano un nodo; – visiere: la visiera era la parte mobile dell’elmo che ricopriva gli occhi; E sebbene, come accade della pelle indurita da callosità a causa del freddo, ogni sensibilità (sentimento) avesse lasciato il mio viso; cessare stallo: «cessar di dimorare»;
– Vapore: nella scienza medievale si credeva che i venti nascessero dal vapore emesso dalla terra umida; – Avaccio: presto (da vivacius); – che ‘l fiato piove: che fa piovere, discendere su questa ghiaccia il vento che tu senti. |
109-150. Frate Alberigo.
E un de’ tristi de la fredda crosta gridò a noi: «O anime crudeli tanto che data v’è l’ultima posta, levatemi dal viso i duri veli, sì ch’ïo sfoghi ‘l duol che ‘l cor m’impregna, un poco, pria che ‘l pianto si raggeli».
Per ch’io a lui: «Se vuo’ ch’i’ ti sovvegna, dimmi chi se’, e s’io non ti disbrigo, al fondo de la ghiaccia ir mi convegna». Rispuose adunque: «I’ son frate Alberigo; i’ son quel da le frutta del mal orto, che qui riprendo dattero per figo».
«Oh», diss’ io lui, «or se’ tu ancor morto?». Ed elli a me: «Come ‘l mio corpo stea nel mondo sù, nulla scïenza porto. Cotal vantaggio ha questa Tolomea, che spesse volte l’anima ci cade innanzi ch’Atropòs mossa le dea.
E perché tu più volentier mi rade le ‘nvetrïate lagrime dal volto, sappie che, tosto che l’anima trade come fec’ ïo, il corpo suo l’è tolto da un demonio, che poscia il governa mentre che ‘l tempo suo tutto sia vòlto.
Ella ruina in sì fatta cisterna; e forse pare ancor lo corpo suso de l’ombra che di qua dietro mi verna.
Tu ‘l dei saper, se tu vien pur mo giuso: elli è ser Branca Doria, e son più anni poscia passati ch’el fu sì racchiuso». «Io credo», diss’ io lui, «che tu m’inganni; ché Branca Doria non morì unquanche, e mangia e bee e dorme e veste panni». «Nel fosso sù», diss’ el, «de’ Malebranche, là dove bolle la tenace pece, non era ancora giunto Michel Zanche, che questi lasciò il diavolo in sua vece nel corpo suo, ed un suo prossimano che ‘l tradimento insieme con lui fece. Ma distendi oggimai in qua la mano; aprimi li occhi». E io non gliel’ apersi; e cortesia fu lui esser villano. |
– tristi: dannati; – crudeli..posta: tanto crudeli che vi è stata assegnata l’ultima zona (posta) del Cocito > non vede, e crede che siano dannati che si stanno recando alla Giudecca; – impregna: mi imbeve, mi riempie;
– se vuoi: è una falsa promessa: Dante andrà veramente nella Giudecca, ma non per rimanerci; – e se non mantengo, che io finisca nella Giudecca; – Alberigo dei Manfredi, frate di origine nobile: – fece assassinare due suoi parenti, dopo averli invitati a pranzo nella sua villa: dopo averli fatti mangiare, ordinò ai servitori di portare la frutta, e quello era il segnale per i sicari perché irrompessero a tavola, e li uccidessero; – riprendo: sconto, pago; – dattero per figo: pan per focaccia;
– Oh..morto: sei già morto? – sta: come stia il corpo: è ancora vivo!! – nulla scienza porto: non ne ho alcuna notizia; – vantaggio: ironico;
– Atropo: la parca che tagliava il filo; mossa: spinta;
– mi rade: mi raschi;
– sappie che…: vien data qui la straordinaria informazione: non appena l’anima commette un tradimento di quel genere, il corpo le vien tolto e poi abitato da un demonio finché sia trascorso (vòlto) il tempo di vita a lei assegnato. – cisterna: il pozzo del cocìto; – pare ancor: è visibile ancora (come il mio), suso: là sulla terra; – dietro mi verna: passa l’inverno qua dietro a me; – qua dietro: introduce un altro dannato; – pur mo: pur ora (se vieni qui ora, già saprai che); – sì: in questo luogo; – unquanche: umquam; – mangiapanni: principali funzioni vitali; – Malebranche: la V bolgia, dei barattieri, presieduta dai diavoli detti Malebranche (nella pece); – prossimano: un suo complice; – oggimai: ormai; – e cortesia: ed esser villano verso di lui fu cortesia. |
Branca Doria: della nobile famiglia genovese dei Doria, tra le più influenti della città;
– personaggio di rilievo, svolse la sua attività politica soprattutto in Sardegna, dove avvenne l’episodio qui ricordato da Dante, del quale peraltro non parlano i documenti:
– gli antichi commenti ci dicono che, aspirando a impossessarsi del Logudoro, di cui era signore il suocero Michele Zanche (cfr. XXII 88 sgg.), invitò quest’ultimo ad un banchetto e poi lo fece trucidare con tutto il suo seguito;
– il suocero di Branca Doria non era ancora arrivato nella V bolgia, che già l’anima del suo traditore era stata scaraventata all’inferno per direttissima;
151-157. Invettiva contro Genova.
151
154
157 |
Ahi Genovesi, uomini diversi d’ogne costume e pien d’ogne magagna, perché non siete voi del mondo spersi? Ché col peggiore spirto di Romagna trovai di voi un tal, che per sua opra in anima in Cocito già si bagna, e in corpo par vivo ancor di sopra. |
– diversi: lontani (da ogni buon costume); – magagna: vizio; – del mondo spersi: dispersi, scacciati via dal mondo; – spirto di Romagna: frate Alberigo; |