Titiro e Melibeo
27 Gennaio 2019Zaira Gangi
27 Gennaio 2019
dalla Divina commedia di Dante Alighieri
di Carlo Zacco
Purgatorio XXVI
Canto XXV. Questo canto è dedicato principalmente ad una trattazione filosofica: Dante chiede come possano dimagrire le anime, dato che non hanno il corpo, e Stazio risponde esponendo le teorie dell’epoca sulla formazione dell’anima, e sul fatto che l’anima possa sentire dolore.
– Passaggio. Quindi avviene il passaggio dalla 6° alla 7° cornice, quella dei lussuriosi. Qui lungo la parete c’è un muro di fuoco, e in mezzo ad esso camminano le anime, gridando tre esempi di castità: le parole di Maria all’arcangelo Gabriele, Diana, l’amore coniugale.
1-24. Le anime. I tre procedono sull’orlo della cornice, tra il fuoco che rasenta la parete, e lo strapiombo; verso sud, in senso antiorario, mentre il sole si prepara a tramontare verso occidente;
– le anime si accorgono che Dante proietta la sua ombra sul fuoco, e si stupiscono di questo fatto apparentemente insignificante: una di loro lo apostrofa, e gli chiede come fa ad essere vivo;
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Mentre che sì per l’orlo, uno innanzi altro, ce n’andavamo, e spesso il buon maestro diceami: «Guarda: giovi ch’io ti scaltro»; feriami il sole in su l’omero destro, che già, raggiando, tutto l’occidente mutava in bianco aspetto di cil’estro; e io facea con l’ombra più rovente parer la fiamma; e pur a tanto indizio vidi molt’ ombre, andando, poner mente. Questa fu la cagion che diede inizio loro a parlar di me; e cominciarsi a dir: «Colui non par corpo fittizio»; poi verso me, quanto potëan farsi, certi si fero, sempre con riguardo di non uscir dove non fosser arsi. «O tu che vai, non per esser più tardo, ma forse reverente, a li altri dopo, rispondi a me che ‘n sete e ‘n foco ardo. Né solo a me la tua risposta è uopo; ché tutti questi n’hanno maggior sete che d’acqua fredda Indo o Etïopo. Dinne com’è che fai di te parete al sol, pur come tu non fossi ancora di morte intrato dentro da la rete». |
sì: con prudenza; per l’orlo: lungo il bordo della cornice; – guarda: fa attenzione; giovi..scaltro: ti sia utile che io ti avverta (dei pericoli); – omero: spalla > hanno il sole orizzontale a destra: è pomeriggio; camminano in senso antiorario verso sud; – aspetto di cilestro: il colore celeste del cielo >il sole rende più bianca la parte in cui si trova a passare; – pur: solo per questo indizio, cioè per il fatto che Dante proiettava un’ombra; – inizio: occasione; – fittizio: aereo, inconsistente, «vano», come le anime; – tardo: non perché sei più pigro/negligente degli altri due, ma forse per reverenza verso di loro; – sete: sete reale, per l’arsura; molti però la considerano una metafora per la sete di sapere notizie su Dante; – è uopo: opus est, è necessaria; – Indo o Etiopo: sineddoche: gli abitanti dell’India o Etiopia; – parete: schermo, impedimento; – la rete: come se tu non fossi ancora entrato nella rete della morte; |
25-36. Le due schiere dei lussuriosi. Mentre Dante sta per rispondere alla domanda, la sua attenzione viene attirata da un altro fatto: vede che in direzione opposta a quella in cui camminano le anime (tra cui quella che gli ha rivolto la parola), corre un’altra schiera di anime. Al momento dell’incontro le anime dell’una e dell’altra schiera si baciano e si scambiano gesti affettuosi.
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Sì mi parlava un d’essi; e io mi fora già manifesto, s’io non fossi atteso ad altra novità ch’apparve allora; ché per lo mezzo del cammino acceso venne gente col viso incontro a questa, la qual mi fece a rimirar sospeso. Lì veggio d’ogne parte farsi presta ciascun’ ombra e basciarsi una con una sanza restar, contente a brieve festa; così per entro loro schiera bruna s’ammusa l’una con l’altra formica, forse a spïar lor via e lor fortuna. |
– mi fora: mi sarei già manifestato, avrei già risposto; – atteso: se non avessi rivolto la mia attenzione; – cammino: la strada infuocata; – col viso incontro: in direzione opposta; – a rimirar sorpreso: mi rese stupito nel guardarla; – farsi presta: affrettarsi; – baciarsi: fa parte del contrappasso: baci di carità, contro amore corrotto in vita; brieve festa: festosa effusione; – schiera bruna: nigrum agmen (Verg. Aen, IV, 404); – via e fortuna: il percorso e la sorte; |
37-51. Esempi di Lussuria. Dopo essersi baciate le anime si separano, e proseguono ciascuna il proprio cammino, gridando esempi di lussuria:
– la schiera che era sopraggiunta in direzione contraria, quella dei peccatori contro natura, grida l’esempio di Sodoma e Gomorra; l’altra quello di Pasifae;
– poi proseguono il loro cammino sempre cantando l’inno (Summae Deus Clementiae) o gridando esempi;
Tosto che parton l’accoglienza amica, prima che ‘l primo passo lì trascorra, sopragridar ciascuna s’affatica: la nova gente: «Soddoma e Gomorra»; e l’altra: «Ne la vacca entra Pasife, perché ‘l torello a sua lussuria corra». Poi, come grue ch’a le montagne Rife volasser parte, e parte inver’ l’arene, queste del gel, quelle del sole schife, l’una gente sen va, l’altra sen vene; e tornan, lagrimando, a’ primi canti e al gridar che più lor si convene; e raccostansi a me, come davanti, essi medesmi che m’avean pregato, attenti ad ascoltar ne’ lor sembianti.
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– parton: prima che interrompano l’amichevole accogli.; – lì trascorra: prima abbiano compiuto il primo passo; – sopragridar: gridare a gran voce; – nova: la seconda schiera¸ – vacca: Pasifae entra nella vacca perché il Toro corra a soddisfare la lussuria di lei; – a le montagne Rife > verso Nord. monti Rifei o Iperborei, posti dagli antichi all’estremo Nord; come se le gru si spartissero per volare parte verso Nord, parte verso Sud, le une insofferenti del gelo, le altre del deserto; – primi canti: l’inno del mattutino Summae Deus Sapientiae, la cui terza strofa è relativa alla lussuria; – come davanti: come poco prima avevano fatto;
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Pasifae. Secondo il mito, Poseidone aveva mandato a Minosse un bellissimo Toro bianco da sacrificare in suo nome; Minosse però non volle farlo, perché il toro era troppo bello, ne sacrificò un altro; – Poseidone si vendicò facendo in modo che la moglie si innamorasse del toro. – Per soddisfare il suo desiderio, Pasifae fa costruire da dedalo una vacca, vuota all’interno, in cui la regina potesse collocarsi, ed avere rapporti sessuali col toro; – da questo «amor scellerato» (Nefanda Venus), nasce il Minotauro, essere metà uomo, metà toro. – Per cancellare la memoria del fatto, Minosse da costruire da Dedalo un labirinto, e ce lo rinchiudere. |
52-66. Dante risponde alle domande delle anime. Dante dice di essere vivo e di aver già attraversato l’oltretomba infernale, in virtù di una speciale grazia divina.
– Poi, dopo aver augurato alle anime di giungere presto alla beatitudine, chiede chi siano essi, e la schiera di quelle che si muovono in senso contrario;
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Io, che due volte avea visto lor grato, incominciai: «O anime sicure d’aver, quando che sia, di pace stato, non son rimase acerbe né mature le membra mie di là, ma son qui meco col sangue suo e con le sue giunture. Quinci sù vo per non esser più cieco; donna è di sopra che m’acquista grazia, per che ‘l mortal per vostro mondo reco. Ma se la vostra maggior voglia sazia tosto divegna, sì che ‘l ciel v’alberghi ch’è pien d’amore e più ampio si spazia, ditemi, acciò ch’ancor carte ne verghi, chi siete voi, e chi è quella turba che se ne va di retro a’ vostri terghi». |
– due volte: ai vv. 22-24, e v. 51; – grato: cosa gradita, desiderio; – acerbe: morte prematuramente o in età avanzata; Quinci: da qui vado su per acquistare la luce della mente; – donna: Beatrice; – il mortal: il corpo mortale; – maggior voglia: desiderio di salvezza; se: ottativo; < sic; – si spazia: si estende più ampiamente di ogni altro; – carte ne verghi: Dante non si presenta per nome, ma dichiara di essere scrittore. |
67-87. Un’anima spiega. All’udire che Dante è vivo, le anime restano stupefatte, e una di queste (la stessa che aveva parlato prima), spiega che la schiera che si muove in senso contrario è quella dei sodomiti.
– Loro invece, pur rimanendo entro le leggi di natura, hanno ecceduto nei piaceri sensuali;
– poi l’anima si presenta, dichiarando di essere Guido Guinizzelli.
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Non altrimenti stupido si turba lo montanaro, e rimirando ammuta, quando rozzo e salvatico s’inurba, che ciascun’ ombra fece in sua paruta; ma poi che furon di stupore scarche, lo qual ne li alti cuor tosto s’attuta, «Beato te, che de le nostre marche», ricominciò colei che pria m’inchiese, «per morir meglio, esperïenza imbarche! La gente che non vien con noi, offese di ciò per che già Cesar, trïunfando, “Regina” contra sé chiamar s’intese: però si parton “Soddoma” gridando, rimproverando a sé com’hai udito, e aiutan l’arsura vergognando. Nostro peccato fu ermafrodito; ma perché non servammo umana legge, seguendo come bestie l’appetito, in obbrobrio di noi, per noi si legge, quando partinci, il nome di colei che s’imbestiò ne le ‘mbestiate schegge. Or sai nostri atti e di che fummo rei: se forse a nome vuo’ saper chi semo, tempo non è di dire, e non s’aprei. Farotti ben di me volere scemo: son Guido Guinizzelli, e già mi purgo per ben dolermi prima ch’a lo stremo».
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– stupido: stupìto; – selvatico: abituato a vivere nei boschi; – che < non altrimenti; paruta: apparenza, aspetto; – scarche: libere dallo stupore, qnd cessarono di stupirsi; – alti cuor: magnanimi, saggi; sattuta: si smorza, attutisce; – marche: territori > nel Purgatorio; – imbarche: imbarchi, acquisti esperienza (del purgatorio);
– vergognando: vergognandosi del loro peccato, accrescono l’efficacia del tormento del fuoco; – ermafrodito: usato qui come sinonimo di ‘eterosessuale; – per noi: da parte nostra (complemento d’agente); – s’imbestiò: agì come una bestia; schegge: legno lavorato a forma di bestia; – tempo non è: non è il momento adatto, e non s’aprei; – scemo: mancante > ti libererò dal desiderio (soddisfacendolo); – per..stremo: mi purifico per essermi pentito prima di essere mosto (allo stremo della vita);
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Cesare: Svetonio (Vite dei Cesari, I (Caes) 49) racconta che Cesare fu amante di Nicomede III, Re di Bitinia; e che durante un trionfo fu chiamato Regina di Bitinia” per dileggio da un certo Ottavio e da altri avversari; – La relazione con Nicomede III era così nota che durante quel trionfo i soldati, tra le varie canzoni, gliene rivolsero una assai nota (illud vulgatissimum): Gallias Caesar subegit, Nicomede Caesarem; – Cesare era notoriamente un omosessuale passivo: Catullo lo definisce cinaedus (Carme 57); Domanda: perché Dante sceglie come rappresentante dei sodomiti un personaggio di così alta levatura? – già all’inferno aveva incontrato Brunetto Latini, suo maestro: e il fatto che il peccato di cui questo si sia macchiato sia una grave colpa per la chiesa, non impedisce a Dante di portare con affetto con sé la «cara e buona immagine paterna» di Brunetto. – Pare che per Dante il giudizio divino possa essere separato da quello umano: Dante-cristiano condanna; Dante-uomo comprende. Ermafrodito. La fonte è Ovidio: Ermafrodito (figlio di Hermes e Afrodite) si unì con la Ninfa Salmace così strettamente da formare un solo corpo con lei, dalle caratteristiche ibride. |
94-135. All’udire il nome di Guinizzelli, Dante vorrebbe correre ad abbracciarlo, ma non lo fa a causa del fuoco. Si accontenta di guardarlo a lungo, e gli promette che pregherà per lui;
– Guinizzelli si mostra a sua volta stupito di tanta ammirazione, e dante gli rivela che ciò è dovuto alla bellezza dei suoi versi;
– Allora Guinizzelli indica a Dante uno spirito accanto a sé, dicendo che si tratta di Arnaut Daniel, il miglior poeta in una lingua romanza;
– afferma inoltre che chiunque dica che un altro autore provenzale, Giraud de Bronelh, è superiore ad Arnaut, commette lo stesso errore di quelli che proclamano la supremazia di Guittone dArezzo, anteponendo l’opinione del volgo alla verità;
– infine prega Dante di ricordarsi di lui, con preghiere, quando sarà giunto in paradiso: e detto questo, scompare tra le fiamme.
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Quali ne la tristizia di Ligurgo si fer due figli a riveder la madre, tal mi fec’ io, ma non a tanto insurgo, quand’ io odo nomar sé stesso il padre mio e de li altri miei miglior che mai rime d’amore usar dolci e leggiadre; e sanza udire e dir pensoso andai lunga fïata rimirando lui, né, per lo foco, in là più m’appressai. Poi che di riguardar pasciuto fui, tutto m’offersi pronto al suo servigio con l’affermar che fa credere altrui. Ed elli a me: «Tu lasci tal vestigio, per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro, che Letè nol può tòrre né far bigio. Ma se le tue parole or ver giuraro, dimmi che è cagion per che dimostri nel dire e nel guardar d’avermi caro». E io a lui: «Li dolci detti vostri, che, quanto durerà l’uso moderno, faranno cari ancora i loro incostri». «O frate», disse, «questi ch’io ti cerno col dito», e additò un spirto innanzi, «fu miglior fabbro del parlar materno. Versi d’amore e prose di romanzi soverchiò tutti; e lascia dir li stolti che quel di Lemosì credon ch’avanzi. A voce più ch’al ver drizzan li volti, e così ferman sua oppinïone prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti. Così fer molti antichi di Guittone, di grido in grido pur lui dando pregio, fin che l’ha vinto il ver con più persone. Or se tu hai sì ampio privilegio, che licito ti sia l’andare al chiostro nel quale è Cristo abate del collegio, falli per me un dir d’un paternostro, quanto bisogna a noi di questo mondo, dove poter peccar non è più nostro». Poi, forse per dar luogo altrui secondo che presso avea, disparve per lo foco, come per l’acqua il pesce andando al fondo. |
– tristizia: dolore, ira; – riveder: riabbracciare; – insurgo: non mi spingo a tanto; – padre/mio: marcato dall’enjambement; – miglior: altri poeti migliori di me: Cavalcanti; – mai: non senso negativo: < umquam; – dolci e leggiadre: caratteri della poesia stilnovistica; – senza udire e dir: entrambi in silenzio; – servigio: servizio: di suffragi, e di qualunque altra cosa; l’affermar: con quei gesti e parole che inducono gli altri a credere alla promessa fatta; – vestigio: «tu lasci un impronta in me, per quello che sento, tanto viva che il Lete non potrebbe né cancellare né offuscare; Ma se le parole che hai pronunciato ora dicono il vero, dimmi qual è la ragione per cui dimostri, nel parlarmi e nel guardarmi, di avermi così caro» «E io a lui: le vostre dolci rime che, finché durerà l’uso di scrivere in volgare (uso moderno), renderanno ancora preziosi i loro manoscritti» – cerno: indico; – fabbro: il miglior artefice nella sua lingua volgare; – soverchiò: superò tutti [quelli che composero] versi d’amore e romanzi in prosa; – quel di Lemosì: Giraud de Bronelh, trovatore limosino; – a voce: «più che alla verità guardano alla moda, e a questa adeguano la propria opinione, ancora prima di ascoltare la poesia». – antichi: quelli della generazione precedente; – di grido in grido: «di bocca in bocca, apprezzandolo, finché fu vinto dalla verità, tramite il giudizio di più persone; Ora, se tu hai avuto un privilegio per cui ti è lecito entrare in quel monastero (il paradiso) di cui Cristo è l’Abate della comunità; recita davanti a lui per me un Paternostro, quel tanto che occorre a noi anime del purgatorio, luogo in cui non è più possibile per noi peccare» – altrui secondo: ad un altro dopo di sé; – presso: che gli stava a fianco;
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Licurgo. L’episodio è tratto dalla Tebaide di Stazio. – Licurgo era Re di Nemea, che aveva lasciato il figlioletto in custodia alla balia, Isìfile. – lei lasciò per un attimo il bambino incustodito, che in questo frangente fu morso da un serpente, e morì; – Licurgo condanna a morte Isìfile, ma proprio mentre il boia sta per eseguire la condanna, i due figli di lei si lanciano addosso alla madre, abbracciandola, e riescono a sottrarla al boia, salvandole la vita; – Stazio racconta che i figli «per tela manusque / irruerunt matremque avidis complexibus ambo / diripiunt flentes»; la situazione è in parte diversa: le motivazioni Dante /figli di Isifile non coincide; coincide solo l’intenzione di abbracciare Guinizzelli. Arnaut Daniel. Trovatore provenzale del XII secolo. Fu famoso per il tropar clus: stile poetico ermetico e ricco di virtuosismi; – Dante imita spesso Arnaut, specialmente nelle rime petrose, e ne trae la sestina lirica; |
136-148. Incontro con Arnaut Daniel. Guinizzelli si allontana, tra le fiamme, Dante avanza un poco per accostarsi allo spirito che Guinizzelli gli aveva indicato come il «il miglior fabbro del parlar materno», il miglior poeta in una lingua volgare, e lo prega di dirgli il suo nome:
– questi si rivolge a Dante in provenzale: si presenta come Arnaut Daniel, e lo prega di aiutarlo con le sue preghiere; Poi si nasconde nel fuoco purificatore.
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Io mi fei al mostrato innanzi un poco, e dissi ch’al suo nome il mio disire apparecchiava grazïoso loco. El cominciò liberamente a dire: «Tan m’abellis vostre cortes deman, qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire. Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan; consiros vei la passada folor, e vei jausen lo joi qu’esper, denan. Ara vos prec, per aquella valor que vos guida al som de l’escalina, sovenha vos a temps de ma dolor!». Poi s’ascose nel foco che li affina. |
– al mostrato: mi avvicinai un poco a quello che mi era stato mostrato; – apparecchiava: «il mio desiderio preparava al suo nome una gradita accoglienza»; «Tanto mi piace la vostra cortese domanda, che io non mi posso né voglio nascondermi a voi. Io sono Arnaut, che piango e vado cantando; afflitto vedo la mia passata follia [d’amore], e vedo lieto la gioia che spero, davanti a me. Ora vi prego, per quella virtù che vi guida verso la cima della scala, che vi ricordiate, a tempo opportuno, del mio dolore».
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