Inno a Venere
27 Gennaio 2019Ad Angelo Mai
27 Gennaio 2019La poesia di Rainer Maria Rilke è incentrata sulla riflessione filosofica, ma di carattere emotivo più che razionale
Rainer Maria Rilke di Carlo Zacco
Rainer Maria Rilke (1875 – 1926)
Manca in lui la componente aristocratica, non c’è in lui l’alterigia di George o Hofmannsthal.
Articoli e opere di Rilke in tedesco in questo sito: http://www.zeno.org/Literatur/M/Rilke,+Rainer+Maria
Un Aprile, in Das Buch der Bilder, 1902 |
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Testo originale |
Traduzione |
Analisi |
Wieder duftet der Wald.
Es heben die schwebenden Lerchen mit sich den Himmel empor, der unseren Schultern schwer war; zwar sah man noch durch die ìste den Tag, wie er leer war, – aber nach langen, regnenden Nachmittagen kommen die goldübersonnten neueren Stunden, vor denen flüchtend an fernen Häuserfronten alle die wunden Fenster furchtsam mit Flügeln schlagen. Dann wird es still. Sogar der Regen geht leiser über der Steine ruhig dunkelnden Glanz. Alle Geräusche ducken sich ganz in die glänzenden Knospen der Reiser. |
La foresta odora di nuovo.
Le allodole in volo sollevano il cielo che era pesante sulle nostre spalle; anche se si poteva ancora vedere il giorno attraverso i rami quando era sgombro, – ma dopo lunghi pomeriggi piovosi, vengono quelli d’oro ore nuove, e fuggono sui fronti delle case lontane tutte le finestre ferite che sbattono spaventosamente. Poi silenzio. Anche la pioggia è più tranquilla sopra le pietre che oscurano tranquillamente lo splendore. Tutti i suoni si stendono completamente nei germogli splendenti dei rampolli. |
Stile. Il metro è molto irregolare.
La rappresentazione è di tipo impressionistico: con pochi tocchi di colore, attraverso una rapida giustapposizione di immagini, viene reso l’arrivo della primavera.
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Herbstag (giorno d’autunno), in Das Buch der Bilder, 1902 |
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Testo originale |
Traduzione |
Analisi |
Herr: es ist Zeit. Der Sommer war sehr groß.
Leg deinen Schatten auf die Sonnenuhren, und auf den Fluren laß die Winde los. Befiehl den letzten Früchten voll zu sein; gieb ihnen noch zwei südlichere Tage, dränge sie zur Vollendung hin und jage die letzte Süße in den schweren Wein. Wer jetzt kein Haus hat, baut sich keines mehr. Wer jetzt allein ist, wird es lange bleiben, wird wachen, lesen, lange Briefe schreiben und wird in den Alleen hin und her unruhig wandern, wenn die Blätter treiben |
Signore: è ora. L’estate è stata molto grande.
Metti la tua ombra sulle meridiane e nei campi scatenano i venti. comanda che gli ultimi frutti siano pieni; date loro altri due giorni a sud spingerli a completamento e cacciare l’ultima dolcezza nel vino pesante. Se non hai una casa adesso, non la costruirai più. Chi è solo ora lo rimarrà a lungo guarderà, leggerà, scriverà lunghe lettere e andrà avanti e indietro nei viali vagare inquieto quando le foglie sono alla deriva |
Il metro è qui rispettato dal traduttore Giaime Pintor, fratello di Luigi pintor (direttore de Il Manifesto) che rispetta anche gli enjambement.. Si tratta sostanzialmente di una preghiera a Dio, Herr, che regge il mondo e al quale si chiede di allontanare l’arsura. Siamo di fronte ad un altro tipo di passaggio stagionale, quello dall’estate all’autunno (Herbst), e viene qui descritta la sensazione di ripiegamento, della natura che si chiude in sß stessa.
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Römische Fontäne (Fontana di Roma), in Neue Gedichte, 1907 |
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Testo originale |
Traduzione |
Analisi |
Zwei Becken, eins das andre übersteigend
aus einem alten runden Marmorrand, und aus dem oberen Wasser leis sich neigend zum Wasser, welches unten wartend stand,
dem leise redenden entgegenschweigend und heimlich, gleichsam in der hohlen Hand, ihm Himmel hinter Grün und Dunkel zeigend wie einen unbekannten Gegenstand;
sich selber ruhig in der schönen Schale verbreitend ohne Heimweh, Kreis aus Kreis, nur manchmal träumerisch und tropfenweis
sich niederlassend an den Moosbehängen zum letzten Spiegel, der sein Becken leis von unten lächeln macht mit Übergängen. |
Due bacini, uno che sormonta l’altro
da un vecchio bordo tondo di marmo, e sporgendosi delicatamente dall’acqua superiore all’acqua che aspettava di sotto,
in silenzio a chi parla piano e segretamente, per così dire nella mano a coppa, mostrandogli il cielo dietro verde e scuro come un oggetto sconosciuto;
se stesso tranquillamente nella bella conchiglia diffondendo senza nostalgia, cerchio dentro cerchio, solo a volte sognante e gocciolante
appollaiato sui tendaggi di muschio fino all’ultimo specchio che fa rotolare silenziosamente il suo bacino il sorriso dal basso fa con le transizioni. |
Il rapporto con la realtà e con la natura è più concreto, è notevole la sua capacità raffigurativa derivata anche dalla frequentazione con i pittori francesi (Rodin). Viene qui descritta con grande delicatezza la fontana di Roma. L’originale è un sonetto, in traduzione le due quartine e le due terzine vengono unite. Nella prima strofa si descrive il movimento cadenzato dell’acqua; nella seconda continua la descrizione, ma si dice che l’acqua «trasogna», appare come in un sogno dunque. |
Sonetti a Orfeo (introduzione generale)
Rilke è un poeta difficile, specie quando il suo senso di spiritualità e i suoi interrogativi sull’esistenza si concretizzano in un discorso filosofico. Questo rende più difficile creare versi, Rilke affronta il problema e compone poesie anche su questi temi astratti.
Scrive Sonetti ad Orfeo in memoria di una fanciulla scomparsa, anche se questo tema è più che altro una scusa per parlare di altro ed allargare il discorso sui limiti dell’uomo e della poesia stessa (cantare è esistere). La poesia è per lui espressione di uno stato di coscienza, anche se l’uomo è talmente complesso da non sapere sempre in quale stato si trovi, non è mai in pace con sß stesso e non sempre è consapevole di ciò che sta provando; da qui viene la dichiarazione delle difficoltà a cantare, difficoltà avvertita in primo luogo dal poeta.
[Si pone qui un problema: per il poeta cantare vuol dire esistere, tramite la parola egli dà prova della propria esistenza poiché con la parola egli dà forma al suo mondo interiore; il problema è che la parola non coincide con la cosa, ma può solo fare riferimento ad essa, res e verba per l’uomo sono purtroppo irrimediabilmente separate. In quale situazione può capitare che res e verba siano unite? In un solo caso, nella parola di Dio: Dio infatti per creare una cosa ne pronuncia il nome: Dio dice: «luce» e la luce è una volta per tutte: quando Dio parla la sua parola coincide con la cosa.
Saggio di Bachtin L’autore e L’eroe, pg. 273: «le parole non sono di nessuno, e di per sß non valgono nulla, ma sono a sevizio di ogni parlante e delle sue più diverse contrastanti valutazioni»]
Sonetti a Orfeo, I, 3 |
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Testo originale |
Traduzione |
Analisi |
Ein Gott vermags. Wie aber, sag mir, soll ein Mann ihm folgen durch die schmale Leier? Sein Sinn ist Zwiespalt. An der Kreuzung zweier Herzwege steht kein Tempel für Apoll.Gesang, wie du ihn lehrst, ist nicht Begehr, nicht Werbung um ein endlich noch Erreichtes; Gesang ist Dasein. Für den Gott ein Leichtes. Wann aber sind wir? Und wann wendet eran unser Sein die Erde und die Sterne? Dies ists nicht, Jüngling, dass du liebst, wenn auch die Stimme dann den Mund dir aufstösst, – lernevergessen, dass du aufsangst. Das verrinnt. In Wahrheit singen ist ein andrer Hauch. Ein Hauch um nichts. Ein Wehn im Gott. Ein Wind. |
Un dio lo può. Ma un uomo, dimmi, come potrà seguirlo sulla lira impari? Discorde è il senso. Apollo non ha altari all’incrociarsi di due vie del cuore.Il canto che tu insegni non è brama, non è speranza che conduci a segno. Cantare è per te esistere. Un impegno facile al dio. Ma noi, noi quando siamo?Quando astri e terra il nostro essere tocca? O giovane, non basta, se la bocca anche ti trema di parole, ardire nell’impeto d’amore.Ecco, si è spento. In verità cantare è altro respiro. È un soffio in nulla. Un calmo alito. Un vento.Traduzione di Giaime Pintor |
Il dio può esistere e cantare, canta perché esiste, ma noi quando siamo? (risposta: dato che noi non siamo, non siamo nemmeno in armonia con noi stessi, e non possiamo cantare);
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Ottava Elegia, in Elegie Duinesi, 1912 | ||
Testo originale | Traduzione | Analisi |
Mit allen Augen sieht die Kreatur das Offene. Nur unsre Augen sind wie umgekehrt und ganz um sie gestellt als Fallen, rings um ihren freien Ausgang. Was draußen ist, wir wissens aus des Tiers Antlitz allein; denn schon das frühe Kind wenden wir um und zwingens, daß es rückwärts Gestaltung sehe, nicht das Offne, das im Tiergesicht so tief ist. Frei von Tod. Ihn sehen wir allein; das freie Tier hat seinen Untergang stets hinter sich und vor sich Gott, und wenn es geht, so gehts in Ewigkeit, so wie die Brunnen gehen.Wir haben nie, nicht einen einzigen Tag, den reinen Raum vor uns, in den die Blumen unendlich aufgehn. Immer ist es Welt und niemals Nirgends ohne Nicht: das Reine, Unüberwachte, das man atmet und unendlich weiß und nicht begehrt. Als Kind verliert sich eins im Stilln an dies und wird gerüttelt. Oder jener stirbt und ists. Denn nah am Tod sieht man den Tod nicht mehr und starrt hinaus, vielleicht mit großem Tierblick. Liebende, wäre nicht der andre, der die Sicht verstellt, sind nah daran und staunen … Wie aus Versehn ist ihnen aufgetan hinter dem andern … Aber über ihn kommt keiner fort, und wieder wird ihm Welt. Der Schöpfung immer zugewendet, sehn wir nur auf ihr die Spiegelung des Frein, von uns verdunkelt. Oder daß ein Tier, ein stummes, aufschaut, ruhig durch uns durch. Dieses heißt Schicksal: gegenüber sein und nichts als das und immer gegenüber.Wäre Bewußtheit unsrer Art in dem sicheren Tier, das uns entgegenzieht in anderer Richtung , riß es uns herum mit seinem Wandel. Doch sein Sein ist ihm unendlich, ungefaßt und ohne Blick auf seinen Zustand, rein, so wie sein Ausblick. Und wo wir Zukunft sehn, dort sieht es Alles und sich in Allem und geheilt für immer.
Und doch ist in dem wachsam warmen Tier O Seligkeit der kleinen Kreatur,
Und wir: Zuschauer, immer, überall, Wer hat uns also umgedreht, daß wir, |
Con tutti gli occhi la creatura vede l’aperto. Gli occhi nostri soltanto son come rivoltati e tesi a lei intorno: trappole al suo libero cammino. Ciò che è fuori, puro, solo dal volto animale lo sappiamo; perché già tenero il bimbo lo volgiamo indietro, che veda ciò che ha forma, e non l’aperto che nel volto animale è sì profondo. Libero da morte. Questa solo noi la vediamo; il libero animale ha sempre dietro di sé il suo tramonto e a sé dinanzi Dio, e quando va, va nell’eterno; come vanno le fonti.Noi non abbiamo mai, neppure un giorno lo spazio puro innanzi, nel quale all’infinito si schiudono i fiori. È sempre mondo e mai non-luogo senza non: il puro, incustodito, che si respira, si sa infinitamente e non si brama. Da bimbo in questo si perde uno in segreto e viene scosso. O un altro lo è morendo. Poiché vicino a morte più non si vede morte, si guarda fisso fuori, forse con sguardo grande d’animale. Gli amanti, se non ci fosse l’altro che la vista preclude, sono prossimi a questo e hanno stupore … quasi per una svista, per loro dietro l’altro si schiude l’aperto … di là da lui però nessuno libero avanza ed è di nuovo mondo. Alla creazione sempre rivolti, solo specchiato vediamo in esso l’aperto, oscurato da noi. O che un animale, muto, alza lo sguardo, che quieto ci traversa. Questo è destino: esser di fronte e poi null’altro e di fronte sempre.Se consapevolezza al modo nostro fosse nel sicuro animale che ci viene incontro in altra direzione – via ci trarrebbe, avvinti dal suo andare. Ma infinito gli è l’essere suo, incolto e privo della vista sul suo stato, puro, come il suo guardar fuori. E dove noi vediamo l’avvenire, là vede il tutto e sß nel tutto, risanato per sempre. Pure nell’animale caldo e vigile
O beatitudine della minuscola creatura
E noi: sempre, ovunque spettatori, Chi ci ha dunque voltati che, (Rilke, Elegie Duinesi) |
Ci si sofferma qui sulla differenza tra l’uomo e le altre creature: il timore della morte è tipico dell’uomo e non degli altri animali, e questo timore non ci consente di godere pienamente della vita.
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