Il tema della pazzia in letteratura italiana
27 Gennaio 2019PENA DI MORTE
27 Gennaio 2019
dalla tesina Ma cosa abbiamo in testa? di Elena Roma
Una critica molto famosa, Freud, la ricevette da uno dei più grandi scrittori del ‘900: Italo Svevo. Egli, nel suo romanzo, La coscienza di Zeno”, ed in particolare nell’ultimo capitolo, si scaglia contro di lui e contro la tecnica psicoanalitica utilizzata come cura. Essa, infatti, non è per niente riuscita a guarire il protagonista Zeno Cosini che parla così: «Ma ora che sapevo tutto, cioè che non si trattava d’altro che di una sciocca illusione, un trucco buono per commuovere qualche vecchia donna isterica, come potevo sopportare la compagnia di quell’uomo ridicolo, con quel suo occhio che vuole essere scrutatore e quella sua presunzione che gli permette di aggruppare tutti i fenomeni di questo mondo intorno la sua grande teoria? ». Il libro è, infatti, una prescrizione data da un certo dottor S. a Zeno in preparazione alla sua cura e in cui egli deve raccontare la sua vita, ma che alla fine diventa una invettiva contro il dottore.
Svevo ritiene la psicoanalisi una tecnica più utile agli scrittori piuttosto che ai medici e a sottolineare questa sua avversione vi sono molti avvenimenti, tematiche e stratagemmi all’interno del libro.
Innanzitutto l’iniziale scelta per il nome del dottore è un chiaro riferimento a Sigmund Freud.
In secondo luogo viene evidenziato in fatto che questa preparazione imposta dal dottore sia già di per sé inutile. Nel preambolo del libro, infatti, Zeno dichiara apertamente sia di aver scritto delle cose non vere sia di aver consultato un manuale di psicoanalisi prima di farlo. Questo ultimo particolare denota subito il carattere indocile del paziente che è desideroso di usurpare il ruolo del medico nell’interpretazione dei fatti della propria vita. Tendenza che si evidenzia anche nell’organizzazione dell’autobiografia dove Zeno imposta già dei capitoli tematici, dando così precedenza ad alcuni fatti e non ad altri, compito che spetterebbe al medico. Il fatto che vi siano sia verità sia bugie è, per Svevo, una caratteristica intrinseca nella scrittura stessa.
Innanzitutto se si tratta di una autobiografia come è quella di Zeno non può essere completa e non può avere senso se non alla fine della vita, ma così si farebbe coincidere il senso della vita con la morte. Il dover ricordare e scrivere eventi passati, poi, cambia irrimediabilmente gli stessi perché rivissuti con l’io attuale e non con quello passato; essi non potranno mai essere gli stessi di allora. Svevo ritiene inoltre che «raccontiamo con predilezione tutte le cose per le quali abbiamo pronta la frase ed evitiamo quelle che ci obbligherebbero a ricorrere al dizionario». Ciò significa che scrivendo della sua vita ha omesso ciò che gli era difficile spiegare. Insomma «la nostra vita avrebbe tutto un altro aspetto se fosse detta nel nostro dialetto».
All’interno dell’ultimo capitolo del libro vi è anche la dichiarazione di Zeno di essere perfettamente sano e di essere guarito grazie alla sua vantaggiosa situazione economica. Essa deriva da guadagni che sfruttano la tragica situazione di guerra in cui si trova l’Italia. Quindi la malattia è solo una convinzione delle nostra mente e deriva dal fatto che siamo consapevoli della nostra vita; se i sani” si guardassero attentamente allo specchio diventerebbero malati.
Elena Roma
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