Negli anni sessanta si puntava sulla quantità (produrre tanto) più che sulla qualità .
A quell’epoca la scuola doveva semplicemente formare degli esecutori.
Oggi il modello economico è basato sulla qualità più che sulla quantità (sulla quantità i cinesi ci supererebbero senza problemi).
Quindi anche la scuola non forma semplicemente degli esecutori, come nella scuola di massa, ma dei competenti.
Occorre quindi puntare l’attenzione sulle competenze, e, da questo, sulle abilità .
Non basta più formulare contenuti disciplinari minimi, ma soprattutto delle abilità (metter in pratica delle conoscenze), cioè non solo “sapere”, ma anche “saper fare”. Quindi non bastano gli apprendimenti di tipo cognitivo, ma sono necessarie esperienze (es. laboratori, stage, ecc…).
Lo sviluppo dell’intelligenza nel bambino (Piaget) dimostra che c’è un fase in cui è importantissima l’esperienza, il saper fare, le istruzioni.
Certe cose si acquisiscono solo facendo, non solo con la teoria. Bisogna fare e rifare più volte, per sapere come si fa.
L’apprendimento deve modificare il nostro modo di pensare, ma anche di comportarsi e di agire.
La conoscenza vale se ci semplifica la vita, non deve essere fine a se stessa.
Certe volte, però, c’è un’idea equivoca della competenza, cioè secondo la definizione di Spencer e Spencer, una perfomance eccellente causalmente collegata ad una attitudine intrinseca.
Non bisogna invece parlare della competenza in modo generale, ma della persona che è competente. Noi non possiamo oggettivare le competenza, possiamo semmai oggettivare le conoscenze.
La competenza deve essere una dimensione della persona, aperta all’apprendimento. E’ deleterio pensare di sapere già tutto. Questa è già una competenza fondamentale: capire che devo imparare ancora moltissimo.