8 marzo
27 Gennaio 2019Sofia Giacomelli
27 Gennaio 2019Il film Anita B. di Roberto Faenza – Giovanni Ghiselli
Lo consiglio ai 123860 lettori del mio blog http://giovannighiselli.blogspot.it/
Il 16 gennaio uscirà il nuovo film di Roberto Faenza: AnitaB. Andrò a vederlo perché la presentazione che ne ha fatto il regista fa capire che la storia narrata riguarda tante persone quante hanno dovuto costruire la loro identità attraversando prove molto difficili e anche assai dolorose. Questo ultimo lavoro del regista di Sostiene Pereira, di Jona che visse nella balena, di Prendimi l’anima[1] e di altri pregevoli film, prende spunto dalla lettura dal romanzo “Quanta stella c’è nel cielo”, di Edith Bruck, romanziera e poetessa di origine ungherese.
Riferisco alcune parole del regista che ho avuto occasione di conoscere due anni fa, nella cineteca di Bologna, e ho incontrato di nuovo in questi giorni per sentirlo parlare del suo film.
E’ stato Furio Colombo a suggerirmi di leggere il libro. Il racconto di Edith Bruck, al quale il film è liberamente ispirato, descrive la quotidianità di Anita in un ambiente fortemente ostile, quasi fosse una colpa essere stata deportata. Non ho mai chiesto a Edith quanto ci sia di autobiografico in quelle pagine, ma ho voluto aggiungere B. ad Anita, in omaggio al suo cognome. Quando ho finito di leggere il libro durante un viaggio aereo dal Giappone dove ero stato a presentare un mio lavoro, ho avuto una crisi di pianto e ho dovuto nascondermi in bagno, sconvolto. Spesso mi chiedo come possiamo lamentarci delle nostre pene, quando ci sono persone che hanno davvero vissuto nell’inferno”.
La bellezza di tali persone, la loro levatura morale sta nel fatto che l’inferno non le ha rese cattive. E’ il tema del tw`/ pavqei mavqo~[2], attraverso la sofferenza arriva la comprensione, che ricorre nei film di Faenza. Anche il dolore serve, se sofferto con intelligenza, coraggio e onestà.
Ma vediamo in breve la trama del film.
Anita, un’adolescente di origini ungheresi [3] sopravvissuta ad Auschwitz, è accolta dall’unica parente rimasta viva: Monika, sorella di suo padre, che non vuole essere chiamata zia e vive l’arrivo della nipote come un peso.
A Zvikovez, tra le montagne della Cecoslovacchia non lontane da Praga, Monika vive con il marito Aron, il figlioletto Roby e il fratello di Aron, il giovane e attraente Eli, la cui filosofia è spiccia: “gli uomini tirano giù i calzoni, mentre le donne pensano all’amore”.
In quel villaggio dei Sudeti, territori in precedenza occupati dai tedeschi, i nazisti vengono rimpatriati a forza e gli scampati trasferiti nelle loro abitazioni, in una situazione di crescente tensione con l’avvento del comunismo.
Attorno ad Anita, uomini e donne vogliono dare un calcio al passato, ballare, divertirsi, ascoltare di nascosto le canzoni americane trasmesse oltre cortina dalla Voice of America. Anita sogna come tutti, ma, a differenza degli altri, non nasconde l’anima. La ragazza è combattiva e piena di entusiasmo. La sua forza viene dal ricordo dei genitori persi nel lager. Ma nella nuova casa si trova ad affrontare una realtà inaspettata: nessuno, neppure Eli, con cui scoprirà l’amore, vuole ricordare il passato. E il più grande tabù è proprio l’esperienza del campo, quasi fosse qualcosa di cui vergognarsi.
Quando Anita tenta di smontare quella difesa collettiva, si trova davanti un muro di silenzi. Così, se vuole parlare di ciò che ha passato, può farlo solo con il piccolo Roby, che ha appena un anno e non può capire.
Nella mescolanza di popoli e lingue che confluiscono attorno a Praga, Anita si confronta con personaggi indimenticabili: il vulcanico zio Jacob, coscienza critica della comunità ebraica ed estroso musicista nella festa del Purim; Sarah, la dinamica “traghettatrice”armata di pistola, che organizza l’esodo verso la Palestina; il giovane David, rimasto orfano per la tragica scelta dei genitori, con cui inizia una toccante amicizia. Improvvisamente, Anita si trova catapultata in una situazione imprevista, che la pone di fronte a una decisione che richiede coraggio. E il film si chiude con un inatteso colpo di scena.
Non conosco il finale, siccome non ho ancora visto il film, ma già da questo sommario posso ricavare spunti per una riflessione critica.
Anita “non nasconde l’anima” e non condivide la voglia di oblio degli altri poiché è una persona che non si accontenta di una identità gregaria.
Mi viene in mente l’Antigone sofoclea che afferma la propria diversità alla sorella Ismene. Quando questa, che vorrebbe dimenticare i fratelli morti, le dice:”tu hai il cuore caldo per dei cadaveri gelati” (v, 88), Antigone risponde:”ma so di essere gradita a quelli cui soprattutto bisogna che io piaccia” (Antigone, v. 89).
Questa ragazza indomita non vuole piacere a tutti, sa di dover obbedire alla propria coscienza che le impone di rendere gli onori funebri anche a Polinice,il fratello caduto combattendo contro Tebe, che il tiranno Creonte vorrebbe lasciare insepolto come traditore della patria.
Quando vedrò il film, cercherò delle analogie tra queste due ragazze poiché Anita mi ha fatto pensare alla figlia di Edipo, della quale Shelley scrisse a John Gisborne [4] “La tua opinione su Antigone è giusta. Che sublime ritratto di donna! e che cosa pensi dei cori e in particolare del lamento lirico della vittima simile a un dio? e delle minacce di Tiresia, e del loro immediato compimento? Alcuni fra noi, in una precedente esistenza, si sono innamorati di un’Antigone: ecco perché non troveranno mai completa soddisfazione in un legame mortale!
Credo che ci potremo uscire da questa fangosa palude di indifferenza se cresceranno molti giovani come Anita, aiutati magari, o per lo meno non ostacolati, da quanti tra i non giovani sono capaci ancora di pensare e valutare con i criteri della bellezza e della giustizia. Per acquistare, e non perdere questi criteri, è necessaria la conoscenza del passato.
Ignorare la storia significa rimanere bambini infanti, e nel senso peggiore[5], per tutta la vita.
Lo scrisse già Cicerone, non certo un eversivo, comunque un divulgatore tra l’altro di quell’umanesimo il cui vetitum non è ricordare, anzi: tabù è dimenticare. Già nell’Odissea di Omero la proibizione massima è quella di scordare: novstou laqevsqai, dimenticare il ritorno, significa dimenticare le pene sofferte senza elaborarle, attraversarle, e superarle, significa dimenticare le prove affrontate, dimenticare lo stesso poema.
“L’espressione che Omero usa in questi casi è ‘scordare il ritorno’. Ulisse non deve dimenticare la strada che deve percorrere, la forma del suo destino: insomma non deve dimenticare l’Odissea. Ma anche l’aedo che compone improvvisando o il rapsodo che ripete a memoria brani di poemi già cantati non devono dimenticare se vogliono “dire il ritorno”; per chi canta versi senza l’appoggio di un testo scritto “dimenticare” è il verbo più negativo che esista; e per loro “dimenticare il ritorno” vuol dire dimenticare i poemi chiamati nostoi , cavallo di battaglia del loro repertorio”[6].
Dimenticare Auschwitz per Anita significherebbe non conoscere e non diventare quella che è[7].
Ma sulla necessità di non dimenticare sentiamo Cicerone: “Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi e? memori? rerum veterum cum superiorum aetate contexitur?” [8] del resto non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli venuti prima, attraverso la memoria storica?
Restare bambini, dal punto di vista del pensiero, non è cosa buona. Lo fa notare Cesare Pavese:”C’è qualcosa di più triste che invecchiare, ed è rimanere bambini”[9].
Ebbene, il film di Faenza mostra la Bildung della ragazzina Anita, la sua formazione di donna e di persona.
Sentiamo qualche altra parola del regista
“Anita è una ragazza tenera e sensibile. E’ appena adolescente quando esce da Auschwitz e ha conservato la voglia di lottare, nonostante l’esperienza dei campiE non vuole limitarsi a sopravvivere. Nella lotta per affermare la propria identità c’è la ricerca dell’amore, in cui darà tutta se stessa, affrontandone costi e rischiPer molti però vivere significa oblio: senza rendersi conto di seppellire se stessi insieme alla memoria. Ed è così che Anita si trova a poter parlare del suo passato solo con un bambino di un anno. Il piccolo Roby ascolta i suoi racconti, ma non può capirla. Tutti gli altri la invitano a “cambiare argomento”, oppure le dicono “è passato, dimenticaAnita B. è la storia di una crescita femminile, un romanzo di formazione ancora attuale. Nel dopoguerra si costruiva sulle macerie, oggi proviamo una sensazione simile: il mondo in cui viviamo sembra confuso, senza certezze”.
Ora commento alcune parole chiave del film, parole che ho ricavato dal provino[10].
Anita dice: “l’unica cosa che mi addolora è non poter parlare con nessuno di quello che abbiamo passato”. Nell’Antigone di Sofocle, e pure in altre tragedie, chi impedisce di parlare è il tiranno cui la ragazza ribelle rinfaccia:”Del resto da dove avrei potuto ottenere una gloria/ più bella e famosa che componendo mio fratello/nella tomba? Si potrebbe dire che a tutti questi questo/piace, se la paura non serrasse la lingua” Antigone, vv. 502-505. Il despota ha messo a tacere tutti, tranne Antigone. Del resto il silenzio di Ottavia, la figlia di Claudio che Agrippina impose a Nerone quale sposa non gradita, non bastò a salvare la vita della disgraziata fanciulla:
“Octavia quoque, quamvis rudibus annis, dolorem caritatem omnes adfectus abscondere didicerat” ( Annales, XIII, 16), anche Ottavia, sebbene non scaltrita dall’età[11], aveva imparato a nascondere la pena, l’amore e tutti i sentimenti.
Per la ragazza di Sofocle l’ufficio pietoso nei confronti di Polinice, la ribellione al tiranno, il rifiuto del conformismo, sono atti dovuti non solo al fratello morto ma anche alla propria identità.
Faenza scrive che “Nella lotta per affermare la propria identità c’è la ricerca dell’amore, in cui Anita darà tutta se stessa, affrontandone costi e rischi”.
Quindi torno alla creatura di Sofocle che definisce la propria quintessenza umana con queste parole: “:””Certamente non sono nata per condividere l’odio ma l’amore” (Antigone, v. 523).
Poi di nuovo Anita: “Ma a ben pensarci, cos’è l’amore?”, si chiede quando pensa a Eli, di cui si è innamorata. E si arrovella per trovare una definizione, salvo convincersi che è“una cosa tanto meravigliosa che se provi a definirla, si arrabbia e perde tutta la sua meraviglia”.
La burrascosa passione in cui si trova coinvolta sembra volgere al peggio, quando miracolosamente la ragazza riesce a imporre una sterzata e trasformare il salto nel buio in una occasione di ribellione e rinascita.
Credo che il film si concluda con l’acquisizione della coscienza della propria bella umanità da parte di Anita.
Il ragazzo dice: “la guerra ha cambiato tutto, oramai non sappiamo più chi siamo”
Ebbene Anita vuole saperlo ad ogni costo, vuole raffigurare l’impossibile di cui è innamorata[12] . Riporto alcune sue parole: “Sai qual è il mio sogno se potessi raggiungere la Palestina? Quello di scrivere. Voglio inventarmi un mondo che non esiste”.
Appena il film uscirà, andrò a vederlo e aggiungerò altre riflessioni sui contenuti e considerazioni sulla forma. Sono attirato da queste figura di ragazza che con il suo coraggio autorizza la speranza e con la sua bellezza incoraggia ad amare la vita.
Giovanni Ghiselli
P. S.
Aggiungo alcune indicazioni per chi volesse indicazioni tecniche
Più di cento docenti hanno partecipato a due proiezioni a Roma nelle scorse settimane (cinema Farnese e cinema Barberini).
Al termine delle visioni si sono accesi appassionanti dibattiti con il regista e si sono registrate molte prenotazioni di matinées, per tutti gli anni delle scuole superiori e anche per le terze medie. Numerose prenotazioni continuano ad arrivare da tutta Italia.
Per quanto riguarda le proiezioni per le scuole, è a disposizione degli studenti un biglietto a prezzo ridotto, con ingresso gratuito per i docenti accompagnatori e i ragazzi diversamente abili.
Per informazioni e prenotazioni è possibile contattare la dott.ssa Antonella Montesi, responsabile del Progetto Scuole del film
349/77.67.796
I siti www.jeanvigoitalia.it e www.anitab.it sono dedicati al film, rendendo disponibili trailer, sinossi, note di regia, foto, news, Progetto scuole e altre informazioni.
Questo il profilo Facebook:
https://www.facebook.com/JeanVigoFilm ANITA B.
[1] Il regista ha detto: “Mentre lavoravo tra le montagne dell’Alto Adige e Praga, ho pensato che questa fatica (due anni per trovare i finanziamenti necessari e uno per arrivare alla copia campione) per me rappresenta il seguito di Prendimi l’anima, convinto che Sabina Spielrein avrebbe potuto amarlo. Da qui lo spunto per una conclusione ideale, comune al tragitto di due donne coraggiose e indomite: “un viaggio verso il passato con un solo bagaglio: il futuro”. Che è la frase con cui si chiudono gli ultimi fotogrammi.
[2] Eschilo, Agamennone, 177.
[3] Per la sua giovane eroina il regista ha scelto Elin Powell, minuta, viso a triangolo, talento scoperto da Dustin Hoffman (l’ha voluta in Quartet). Eli è Robert Sheehan (protagonista della serie Misfits), nel cast ci sono Moni Ovadia, Andrea Osvart, Antonio Cupo, Nico Mirallegro, Jane Alexander.
[4] Nell’ottobre del 1821.
[5] Infante, come il latino infans, come il greco nhvpio~ è colui che non sa parlare.
[6]I. Calvino, Perché leggere i classici , pp. 15-16.
[7] Cfr. la somma del pensiero educativo di Pindaro, tebano come Antigone: gevnoio oi|o~ ejssiv” (Pitica II v. 72), diventa quello che sei.
[8]Orator, 120)
[9]Il mestiere di vivere , 24 dicembre 1937.
[10] Ai miei tempi si diceva così e nemmeno io voglio dimenticare i miei tempi, né voglio dimenticare la mia lingua madre con le altre che ne perfezionano la conoscenza.
[11] Tacito ha appena raccontato l’avvelenamento di Britannico da parte di Nerone. Siamo nel 55 d. C. e Ottavia ha solo quindici anni.
[12] Cfr. Antigone 90 dove Ismene dice alla sorella: ” ajll j ajmhcavnwn ejra’/” (v.90), ma sei innamorata dell’impossibile.