PTOF e integrazione degli alunni stranieri
27 Gennaio 2019Friedrich Hölderlin
27 Gennaio 2019Nell’ultimo incontro fra Lotte e Werther, la sua lettura dei Canti di Ossian dimostra ancora una volta di più alla donna l’inguaribile romanticismo di Werther, e porta la donna a troncare per sempre il rapporto con lui, preludio della fine tragica con il suicidio di Werther.
L’ultima scena fra Lotte e Werther è davvero struggente e riflette la profonda angoscia dei due personaggi. Lotte, pur provando un sentimento profondo per Werther, comprende la necessità di troncare il loro rapporto per il bene di entrambi. La lettura dei Canti di Ossian da parte di Werther, con la sua intensità e la sua tematica di morte e disperazione, sembra rafforzare la decisione di Lotte.
Werther, pur amando intensamente Lotte, è pervaso dalla disperazione e dall’impotenza di fronte alla situazione. Il suo tentativo di trattenere Lotte e il suo struggente addio sono il culmine del suo tormento interiore.
Questa scena, con la sua intensità emotiva e il suo pathos, è un momento cruciale nel romanzo, e anticipa il tragico destino di Werther. La loro separazione segna la fine di un amore impossibile e la discesa di Werther verso l’abisso dell’autodistruzione.
L’ultimo incontro fra Werther e Lotte (da quanto riporta l’editore riguardo gli ultimi giorni di Werther) risale al 20 dicembre: testo del brano:
Lotte era dunque sola, nessuno dei suoi fratelli le era accanto, si abbandonò ai suoi pensieri, che presero a errare silenziosi attorno alla sua situazione. Si vedeva ormai unita per sempre a un uomo del quale conosceva l’amore e la fedeltà, al quale era devota con tutto il cuore, la cui calma, la cui affidabilità sembravano proprio mandate dal cielo perché una donna di buon senso vi costruisse sopra la felicità della propria vita; sentì cosa lui sarebbe stato per lei e per i loro figli giorno dopo giorno.
D’altra parte, Werther le era diventato così prezioso; sin dal primo istante in cui si erano conosciuti la piena concordanza del loro modo di pensare si era rivelata completa, la lunga consuetudine a
frequentarlo, tante situazioni vissute insieme avevano impresso un segno incancellabile nel suo cuore. Ogni cosa di un qualche interesse che lei sentiva o pensava, era abituata a dividerla con lui, e la sua lontananza minacciava di aprire nel suo essere un vuoto che non avrebbe mai più potuto essere colmato. Oh, se in quel momento avesse potuto trasformarlo in un fratello, come sarebbe stata felice!… Avesse potuto sposarlo con una delle sue amiche, se almeno avesse potuto sperare di ristabilire l’armonia fra lui e Alberto!
Aveva passato in rassegna le sue amiche una per una e su ognuna aveva trovato qualcosa da ridire, non ne trovò una alla quale concederlo pienamente.
In mezzo a tutte queste considerazioni sentì per la prima volta, e profondamente, senza esserne chiaramente consapevole, che quello che voleva con tutto il cuore, il suo desiderio più segreto, era tenerselo per sé, ma poi si disse subito che non poteva tenerlo, che non doveva; il suo animo puro, bello e solitamente portato a ritrovare l’equilibrio sentì tutto il peso di un abbattimento a cui era chiusa ogni prospettiva di felicità. Il suo cuore era oppresso e una nube cupa gravava sopra i suoi occhi.
Ormai erano suonate le sei e mezza quando sentì Werther salire la scala e riconobbe subito il suo passo, la sua voce che chiedeva di lei. Come le prese a battere il cuore, potremmo quasi dire per la prima volta, al suo arrivo! Avrebbe volentieri fatto dire di non essere in casa, e quando egli spalancò la porta gli gridò con una specie di appassionato sfinimento: «Non è stato di parola.» «Io non ho promesso niente,» fu la sua risposta.
«Ragione di più per esaudire la mia preghiera,» replicò lei, «glielo avevo chiesto per la pace di entrambi.»
Non sapeva bene nemmeno lei cosa dire, e ancora di meno sapeva cosa avesse in mente allorché mandò a chiamare alcune amiche per non restare da sola con Werther.
Depose alcuni libri che aveva portato con sé, gliene chiese degli altri, e ora lei desiderava che arrivassero le sue amiche, ora che stessero dov’erano. La cameriera ritornò e portò la notizia che entrambe si scusavano di non poter venire.
Avrebbe voluto dire alla cameriera di restare con il suo lavoro nella stanza accanto, poi cambiò idea. Werther andava su e giù per il salotto, lei si avvicinò alla spinetta e attaccò un minuetto, ma le dita restavano rattrappite. Si fece forza e si mise tranquilla a sedere accanto a Werther, che come al solito si era messo sul canapè.
«Non ha niente da leggere?» chiese lei. Non aveva niente. «Là dentro in quel cassetto,» disse allora lei, «c’è la sua traduzione di quei canti di Ossian; non li ho ancora letti, perché ho sempre sperato di sentirli dalla sua viva voce, ma finora non c’è stato né il modo né l’occasione di farlo.» Egli sorrise, andò a prendere i canti, fu attraversato da un brivido mentre li prendeva in mano, e gli occhi erano pieni di lacrime quando li guardò. Si sedette e cominciò a leggere:
Stella della notte incipiente, già brilli a occidente, sollevi la testa raggiante dalla tua nuvola, maestosa vaghi sulla tua collina. Cosa vai scrutando sulla landa? I venti tempestosi si sono placati; da lontano giunge il mormorio del ruscello; onde mugghianti laggiù s’inseguono contro la rupe; il ronzio degli insetti notturni dilaga sui campi.
Cosa guardi, bella luce? Ma tu sorridi e vai, gioiose ti ammantano le onde e bagnano la tua fluente chioma. Salve, placido raggio. Mostrati, o splendida luce dell’anima di Ossian!
Ed essa appare in tutta la sua magnificenza. Vedo i miei amici defunti, si raccolgono attorno a Lora, come nei giorni passati… Fingal arriva, simile a un’umida colonna di nebbia; attorno stanno i suoi eroi e, guarda!, i bardi del canto: Ullin il canuto! Ryno il maestoso! Alpin, l’amoroso cantore! e tu, o Minona dal soave lamento!… Come siete cambiati, amici miei, dai giorni festosi a Selma, quando rivaleggiammo per la gloria del canto; come le brezze di primavera, alternandosi sulla collina, piegano l’erba appena
frusciante!
Allora Minona comparve in tutta la sua bellezza, lo sguardo chino e gli occhi pieni di lacrime, la sua chioma si muoveva pesante nel vento incostante che spirava dalla collina… Nell’animo degli eroi si spalancò la tristezza quando ella alzò la bella voce; perché spesso avevano visto la tomba di Salgar, spesso la tenebrosa dimora della candida Colma.
Colma, abbandonata sulla collina, dalla voce armoniosa; Salgar aveva promesso di venire;
ma la notte s’ammassava già tutt’intorno. Udite la voce di Colma, quando sola si trovò
sulla collina.
Colma
È notte!… Io sono sola, sperduta sulla collina tempestosa. Il vento sibila fra i monti.
Urla il torrente giù dalle rocce. Nessuna capanna mi ripara dalla pioggia, me, abbandonata
sulla collina tempestosa.
Esci, o luna, dalle tue nubi. Mostratevi, o stelle della notte! Che un qualche raggio mi faccia strada verso il luogo dove il mio amato si riposa dalle fatiche della caccia, allentato il suo arco al fianco, ansanti i suoi cani attorno a lui! Ma qui io devo sedere, da sola, sulla rupe del torrente in piena. Il torrente e la bufera urlano, io non sento la voce del mio amato.
Perché tarda il mio Salgar? Ha dimenticato la sua promessa?… Eppure la rupe e l’albero e il torrente scrosciante sono questi. Sul calar della notte promettesti di essere qui; ahimè! dove mai si sarà smarrito il mio Salgar? Con te volevo fuggire, abbandonare il padre e il fratello! quegli orgogliosi! Da lungo tempo le nostre stirpi sono nemiche, ma noi non siamo nemici, o Salgar!
Taci un attimo, o vento, fermati un breve attimo, o torrente! Che la mia voce possa risuonare nella valle, che il mio viandante possa udirmi. Salgar! sono io che chiamo!
L’albero e la rupe sono qui! Salgar! mio amato! sono qui; perché tardi tanto?
Guarda, la luna spunta, il flutto luccica nella valle, le rupi s’innalzano grigie dalla collina; ma non lo vedo sulle alture, i suoi cani non precedono il suo arrivo. Qui io devo sedere da sola.
Ma chi sono coloro che giacciono laggiù sulla landa?… Il mio amato? mio fratello?
Parlate, o amici miei! Essi non rispondono. Com’è angosciata la mia anima… Ahimè, essi sono morti! La loro spada è rossa dal combattimento! O fratello mio, fratello mio! perché hai abbattuto il mio Salgar? O mio Salgar! perché hai abbattuto mio fratello? entrambi mi eravate così cari! Oh, tu eri bello tra mille, sulla collina! Egli era terribile nel combattimento. Rispondetemi! prestate ascolto alla mia voce, o miei cari! Ahimè! essi sono muti! muti per sempre! freddo, come la terra, è il loro petto.
Oh! dalle rupi della collina, dalle cime tempestose del monte, parlate, spiriti dei morti! Parlate! non avrò paura!… Dove siete andati a riposare? In quale grotta del monte vi troverò?… Non odo nel vento alcuna flebile voce, nessuna risposta sibila nella tempesta della collina.
Siedo nel mio sconforto, in lacrime aspetto il mattino. Scavate la fossa, voi amici dei morti; ma non richiudetela finché io non vi sia giunta. La mia vita come un sogno dilegua;
come potrei sopravvivere? Qui io voglio abitare con i miei amici, presso il torrente della rupe sonora… Quando sulla collina si farà notte e il vento spazzerà la landa, il mio spirito aleggerà nel vento e scioglierà il lamento per la morte dei miei amici. Il cacciatore mi udirà fra le frasche, temerà e amerà la mia voce; perché dolce sarà la mia voce per i miei amici, li ho amati tanto entrambi.
Questo fu il canto tuo, o figlia di Tolman, o Minona, dal pudico rossore. Le nostre lacrime sgorgarono per Colma e la nostra anima s’incupì.
Si fece avanti Ullin con l’arpa e ci cantò il canto di Alpin…
Lieta era la voce di Alpin, un raggio di fuoco l’anima di Ryno. Ma essi giacevano di già nell’angusta dimora e la loro voce s’era spenta a Selma. Una volta Ullin ritornò da caccia, prima che gli eroi cadessero. Udì la loro tenzone canora sulla collina. Soave era il loro canto, ma mesto. Piangevano la caduta di Morar, il primo degli eroi. La sua anima era simile all’anima di Fingal, la sua spada simile alla spada di Oskar… Ma egli cadde, e suo padre si disperò e gli occhi di sua sorella furono pieni di lacrime. Gli occhi di Minona
erano pieni di lacrime, la sorella dello splendido Morar. Al canto di Ullin si ritrasse come la luna a occidente quando prevede la bufera e nasconde il suo bel capo in una nube… Io suonai l’arpa con Ullin per il canto del cordoglio.
Ryno
Passati sono vento e pioggia, il meriggio è così sereno e si dissipano le nubi. Di sfuggita illumina l’incostante sole la collina. Rossiccio scorre il torrente del monte verso la valle. Dolce è il tuo mormorio, o torrente; ma più dolce la voce che io odo. È la voce di Alpin, egli piange i morti. La sua testa è china sotto il peso degli anni e rossi i suoi occhi lacrimanti. Alpin, eccelso cantore! perché da solo sul silente colle? Perché ti lamenti come un colpo di vento nella selva, come un’onda sul remoto lido?
Alpin
Le mie lacrime, Ryno, sono per il morto, la mia voce per gli abitanti della tomba. Tu ti stagli sulla collina bello fra i figli della landa. Ma cadrai come Morar e sulla tua tomba si siederà l’inconsolabile. Le colline ti dimenticheranno, i tuoi archi giaceranno allentati nella camera.
Tu eri veloce, o Morar, come un capriolo sulla collina, terribile come i fuochi notturni nel cielo. La tua ira era una tempesta, la tua spada in battaglia come il lampo sulla landa. La tua voce pari al torrente della foresta dopo la pioggia, al tuono sulle colline lontane. Molti caddero per mano tua, la fiamma della tua ira li annientò. Ma quando ritornavi dalla guerra, come era pacifica la tua fronte! Il tuo volto era simile al sole dopo l’uragano, simile alla luna nella silente notte, placido il tuo petto come il mare dopo che è
cessata la furia del vento.
Angusta è ora la tua dimora! tenebrosa la tua casa! Con tre passi io misuro la tua tomba, o tu! tu che fosti così grande! Quattro pietre ricoperte di muschio sono la sola memoria di te, un albero spoglio, erba alta che fruscia nel vento, indicano all’occhio del cacciatore la tomba del possente Morar. Tu non hai madre che ti rimpianga, non fanciulla con le lacrime dell’amore. Morta è colei che ti ha partorito, caduta è la figlia di Morglan.
Chi è colui che si appoggia al suo bastone? Chi è costui dalla testa canuta dagli anni, i cui occhi sono rossi di lacrime? È tuo padre, o Morar! il padre di nessun altro figlio oltre a te! Egli udì della tua fama in battaglia, udì dei nemici sbaragliati; egli udì la gloria di Morar! Ahimè! e nulla della sua ferita? Piangi, padre di Morar! piangi! Ma tuo figlio non ti sente. Profondo è il sonno dei morti, appiattito il loro guanciale di polvere. Mai più egli tenderà l’orecchio alla tua voce, mai si desterà al tuo richiamo. Oh, quando verrà il mattino nella tomba per ordinare al dormiente: Svegliati!?
Addio! nobilissimo fra gli uomini, tu vincitore sul campo! Ma mai più il campo ti vedrà! mai più la cupa selva risplenderà del tuo acciaio. Tu non lasciasti figli, ma il canto tramanderà il tuo nome, tempi futuri udranno di te, udranno del caduto Morar.
Alto fu il gemito degli eroi, e più alto il singhiozzo straziante di Armin. Gli sovvenne la morte di suo figlio, caduto nei giorni della gioventù. Carmor sedeva accanto all’eroe, Carmor, il principe del risonante Galmal. Perché sospira il singhiozzo di Armin?
disse egli, cosa c’è da piangere? Non risuona l’inno e il canto per addolcire l’anima e allietarla? Essi sono come la tenue nebbia che salendo dal lago si diffonde sulla valle e riempie di umidità i boccioli in fiore; ma il sole ritorna possente e scomparsa è la nebbia.
Perché sei così addolorato, o Armin, signore di Gorma cinta dalle acque?
Addolorato? Oh, sì, e la causa del mio dolore non è piccola. Tu, Carmor, non perdesti alcun figlio, non perdesti alcuna figlia nel fior degli anni; Colgar, il coraggioso, vive, e Annira, la più bella delle fanciulle. I rami della tua casa fioriscono, o Carmor; ma Armin è l’ultimo della sua stirpe. Buio è il tuo letto, o Daura, sordo è il tuo sonno nella tomba… Quando ti sveglierai con i tuoi canti, con la tua voce melodiosa? Su! voi venti d’autunno! Su! scatenatevi sulla tetra landa! Torrenti della selva, mugghiate! ululate, tempeste, sulle cime delle querce! erra fra le squarciate nubi, o luna, mostra e ritrai il tuo pallido volto! Rammentami la terribile notte in cui i miei figli perirono, quando Arindal, il possente, cadde, e Daura, la diletta, spirò.
Daura, figlia mia, come eri bella! Bella come la luna sulle colline di Fura, bianca come la neve caduta, dolce come l’aria che spira! Arindal, forte era il tuo arco, rapida la tua spada sul campo, il tuo sguardo come nebbia sull’onda, il tuo scudo una nube di fuoco nella tempesta!
Armar, famoso in guerra, giunse e chiese l’amore di Daura; ella non si oppose a lungo. Belle erano le speranze dei loro amici.
Erath, il figlio di Odgal, era pieno di rancore, poiché suo fratello giaceva a terra ucciso da Armar. Egli giunse travestito da barcaiolo. Bello era il suo vascello sull’onda, bianche le sue chiome per gli anni, calmo il suo serio viso. «Bellissima fanciulla,» disse egli, «amorosa figlia di Armin, laggiù sulla rupe, non lontano dal mare, dove brilla il rosso frutto dall’albero, là Armar sta aspettando Daura; vengo a condurre il suo amore sul mare ondeggiante.»
Ella lo seguì e chiamò Armar: non le rispose che la voce della rupe. «Armar! amor mio! Amore mio! perché mi causi tanta paura? Odi, figlio di Arnath, odi! È Daura che ti chiama!»
Erath, il traditore, fuggì ridendo verso terra. Ella alzò la voce, chiamò suo padre e suo fratello: «Arindal! Armin! Nessuno salverà la sua Daura?»
La sua voce attraversò il mare. Arindal, mio figlio, scese dalla collina, selvaggio nel suo bottino di caccia, le frecce tintinnavano al suo fianco, portava l’arco in mano e cinque alani nero-grigi gli correvano intorno. Scorse il temerario Erath sulla spiaggia, lo prese e lo legò attorno alla quercia, strinse forte i suoi fianchi, il prigioniero riempì i venti di gemiti.
Arindal varcò le onde nella sua barca per ricondurre Daura. Armar nella sua ira sopraggiunse e scoccò la freccia dalle grigie piume, che sibilò e si conficcò nel cuore tuo, o Arindal, figlio mio! Invece del traditore Erath, tu, perdesti la vita! La barca raggiunse la rupe e contro di essa si infranse e tu affondasti e moristi. O Daura, ai tuoi piedi colò il sangue di tuo fratello, e quale fu il tuo strazio!
Le onde infransero il battello. Armar si gettò nel mare per salvare la sua Daura o perire. Rapida una ventata si abbatté sui flutti, egli sprofondò e non riemerse più.
Solo, sulla rupe flagellata dal mare, udivo i lamenti di mia figlia. Molte e forti furono le sue grida, ma suo padre non poté salvarla. Rimasi tutta la notte sulla spiaggia, la vidi sotto il debole chiarore lunare, per tutta la notte udii le sue grida, impetuoso era il vento, e la pioggia batteva violenta sui fianchi del monte. La sua voce divenne flebile prima che sorgesse il mattino; ella si spense come la brezza della sera fra le erbe delle rupi.
Oppressa dall’angoscia ella morì e lasciò Armin da solo! Scomparsa è la mia forza in guerra, caduto il mio orgoglio fra le fanciulle.
Quando le tempeste calano dal monte, quando la tramontana solleva in alto le onde, io siedo sulla spiaggia che echeggia, guardo l’orribile rupe. Spesso, quando cala la luna, io vedo gli spiriti dei miei figli, pallide ombre che insieme errano in affranta concordia.
Un fiume di lacrime, che scaturì dagli occhi di Lotte e diede sfogo al suo cuore oppresso, troncò il canto di Werther. Questi gettò via il foglio, le prese la mano e pianse amarissime lacrime. Lotte appoggiò il capo all’altra e nascose gli occhi nel fazzoletto. La commozione di entrambi era spaventevole. Nel destino di questi eroi videro riflessa la propria sventura, insieme la sentivano e insieme si mescolarono le loro lacrime.
Le labbra e gli occhi di Werther bruciavano sul braccio di Lotte; fu attraversata da un brivido, voleva
allontanarsi, ma dolore e pietà la trattenevano stordendola sotto una cappa di piombo.
Respirò profondamente, cercò di farsi animo, e singhiozzando lo supplicò di continuare, supplicò con quella sua voce celestiale! Werther prese a tremare, sembrava che il cuore volesse scoppiargli, sollevò il foglio da terra e con voce rotta riprese a leggere:
Perché mi risvegli, vento di primavera? Tu lusinghi e dici: Io spargo la rugiada del cielo! Ma il tempo del mio languire è vicino, vicina la tempesta che disseminerà le mie foglie a terra! Domani arriverà il viandante, arriverà colui che mi vide in tutta la mia bellezza: il suo sguardo mi cercherà tutt’intorno sul campo e non mi troverà…
Tutta la violenza di queste parole si abbatté sull’infelice. Si gettò ai piedi di Lotte in preda alla disperazione più totale, le prese le mani, se le portò sugli occhi, poi sulla fronte, e a lei parve di sentir entrare nell’anima come un presentimento del suo terribile proposito.
Si sentì mancare, gli strinse le mani, se le premette al seno, si chinò con un gesto di compassione su di lui, e le loro guance infuocate si sfiorarono. Il mondo per essi svanì. La prese fra le braccia, se la serrò al petto e coprì di baci furiosi le sue labbra tremanti e balbettanti. «Werther!» gridò ella con voce soffocata divincolandosi, «Werther!» e con una debole pressione della mano lo scostò da sé;
«Werther!» gridò ancora con il tono autoritario di un animo integerrimo.
Egli non oppose resistenza, la liberò dalla stretta e cadde ai suoi piedi come impazzito. Lei si alzò e, sconvolta e angosciata, oscillando fra amore e sdegno, disse:
«Questa è l’ultima volta! Werther! Lei non mi vedrà mai più.»
E con uno sguardo pieno d’amore per lo sventurato corse nella stanza adiacente e vi si rinchiuse.
Werther protese le braccia verso di lei, ma non osò trattenerla. Giaceva sul pavimento, la testa sul canapè, e in questa posizione rimase più di mezz’ora, fino a che un rumore lo richiamò a se stesso. Era la cameriera che voleva apparecchiare la tavola.
Prese ad andare su e giù per la stanza, e quando vide di essere di nuovo solo, andò alla porta della
stanzetta e chiamò sottovoce:
«Lotte! Lotte! Solo una parola ancora! un addio!»
Lei taceva.
E lui attese e supplicò e continuò ad attendere; poi si strappò via gridando: «Addio, Lotte! addio per sempre!»
da I dolori del Giovane Werther https://www.writingshome.com/ebook_files/163.pdf
1749-1832
Appunti e materiale didattico su atuttascuola
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Relazione su “I dolori del giovane Werther” di Goethe di Laura
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Il faust di Laura Bosoni
Appunti e materiale didattico su altri siti
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Vita di Goethe di skuola.net
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Goethe di belami
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Le ultime lettere di Jacopo Ortis con riferimento a I dolori del giovane Werther di Appunti e ricerche (dopo aver chiuso un po’ di finestre pubblicitarie)
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