Titiro e Melibeo
27 Gennaio 2019Zaira Gangi
27 Gennaio 2019di Carlo Zacco
Vita. Di famiglia nobile, ebbe un carattere schivo e riservato. Importantissima per la sua vita, sia pubblica che privata, fu l’amicizia che lo legò ai fratelli Verri, in particolare a Pietro, una delle figure più eminenti dell’Illuminismo milanese.
– Nasce a Milano nel 1738; studia legge all’università di Pavia, dove si laurea.
L’università di Pavia è una delle più antiche del mondo, fondata in epoca carolingia;
– fu distrutta nel 1525, durante la guerra tra Spagna e Francia (Battaglia di Pavia), e per due secoli praticamente non funzionò;
– la sua rinascita si deve all’intervento di Maria Teresa D’Austria (vi insegnò Foscolo);
– gli austriaci Milano fondarono anche l’accademia di belle arti di Brera, all’interno di un edificio religioso precedente (orto botanico, osservatorio astronomico).
– nel 61 sposa una donna di umili origini, Teresa Blasco, dalla quale avrà una figlia, Giulia, che sarà la madre di Alessandro Manzoni.
– Grazie all’amicizia coi Verri entra a far parte del «caffè», nella quale rivista pubblicherà alcuni articoli, su temi di economia e politica.
Dei delitti e delle pene
Pubblicazione. Nel 1764, sempre su stimolo di Pietro Verri pubblica il Dei delitti e delle pene;
– la scrittura del libro è stata seguita da vicino da Pietro verri, che portava materiale all’amico, e si occupava anche di correggere man mano le bozze;
– spesso Verri si è lamentato del carattere pigro di Cesare; del fatto che non prendesse molto sul serio l’attività di ricerca e di scrittura; del modo disordinato di condurre il proprio lavoro;
– senza l’intervento attivo di Pietro Verri l’opera non sarebbe venuta alla luce;
– dopo la pubblicazione il testo viene subito tradotto in francese, ed ha una vastissima risonanza in tutta Europa, per l’attualità e l’importanza dei temi trattati: il dibattito sul libro di Beccaria infiamma l’Europa per diversi anni: Francia, Germania, Inghilterra, e persino in Russia;
– il libro subisce anche pesanti attacchi, soprattutto dalla chiesa: immediatamente dopo la sua pubblicazione, nel 1765, uno studioso gesuita, padre Ferdinando Facchinei, scrive un opuscolo, rigettando argomentazioni di Beccaria su base morale;
– a questo opuscolo risponderà Pietro Verri con un altro articolo, dove rigetta punto per punto, sulla base di argomentazioni giurisprudenziali, i motivi di padre Facchinei;
– dato il successo dell’opera, Beccaria viene invitato in Francia, dai philosophes (tra cui Voltaire).
– Ma Cesare ha un carattere schivo e riservato, non ama l’ambiente culturale francese, e dopo pochi mesi torna in Italia;
– a questo punto il rapporto con Pietro Verri si incrina: proprio per il fatto che, non solo Pietro lo ha aiutato a scrivere l’opera (che ha praticamente scritto lui!), ma non ha nemmeno saputo sfruttare la risonanza dell’opera stessa;
– A partire dagli anni 70 Cesare Beccaria si occupa di insegnamento (economia presso le scuole palatine di Milano) e di incarichi amministrativi per conto del governo austriaco.
Il progetto culturale. Il progetto culturale di Beccaria, come del resto di tutti gli illuministi milanesi, era quello di incidere nella società: il motto era quello di procurare il maggior benessere possibile, per il maggior numero di individui possibile.
Il problema della giustizia. Nello specifico, Beccaria (su consiglio di Verri), si occupa del problema della giustizia, che in quel periodo, a Milano, era macchiata da una gestione totalmente irrazionale, da inadempienze, malfunzionamenti, contraddizioni, assurdità, e soprattutto abusi e arbitrii di ogni tipo da parte dei giudici e dagli amministratori stessi.
– la giustizia, anziché procurare benessere ed equilibrio nella società, finiva per essere un elemento di maggior disordine e iniquità, infondendo nella popolazione un senso di estraneità verso il potere, e quindi (cosa più grave) portandoli a compiere ulteriori delitti.
– l’apoteosi di questa gestione irrazionale del potere giurisdizionale erano la tortura e la pena di morte, due capisaldi della magistratura da più di mille anni che, nonostante abbiano ormai ampiamente dimostrato la loro assoluta inutilità nel prevenire i delitti, venivano allora ancora ampiamente usate;
– a questi due temi Beccaria dedicherà due dei più vibranti capitoli del trattatello.
La pena di morte. Per la cronaca: la pena di morte è stata abolita per la prima volta nel mondo nel Gran Ducato di toscana, nel 1786, ad opera di Pietro Leopoldo, imparentato con gli Asburgo-Lorena.
– quindi venne abolita dal codice Zanardelli (il nuovo codice penale dell’Italia unita) neo 1889; ma di fatto già dal 1861, l’anno dell’unificazione, non era più eseguita.
– venne poi ristabilita durante il ventennio fascista, per essere poi abolita di nuovo nel 1944.
Il contratto sociale. L’opera prende le mosse a partire dalle teorie contrattualiste dell’epoca, che, nel corso degli ultimi decenni, avevano rielaborato i vari interventi in proposito di Locke, Montesquieu, e Rousseau.
– la teoria contrattualistica identifica l’esistenza di un patto, di un tacito accordo che gli uomini hanno stipulato nel momento stesso in cui si sono consorziati in una società;
– in altre parole: l’esigenza dei primi uomini di unirsi in società allo scopo di uscire dalla barbarie, ed evitare la «legge della giungla» del più forte che domina il più debole, implica la stipula di questo contratto.
– Il contratto prevede, naturalmente, un dare qualcosa in cambio di qualcos’altro:
– ogni membro della comunità cede parte della propria libertà personale, per avere in cambio la garanzia che la libertà che resta in suo possesso sia tutelata in modo stabile e duraturo: io sacrifico un 10% in modo che il restante 90% che rimane in mio possesso sia assicurato.
La somma delle piccole porzioni di libertà a cui ogni uomo ha rinunciato vanno a formare un deposito:
1) Il garante di questo deposito è lo Stato, che deve fare in modo che nessuno usurpi la libertà di un altro, riprendendosi la porzione che ha depositato;
2) lo strumento con cui lo stato garantisce il rispetto delle libertà di tutti è la legge.
– perché questo patto possa funzionare, cioè: perché il patto sia conveniente per i contraenti, è necessario che la porzione di libertà che lo Stato deve chiedere ai propri cittadini sia la minore possibile:
– ogni tentativo dello Stato di privare dei propri cittadini di una libertà al di sopra minimo necessario, è tirannico.
Le pene. Per scoraggiare gli individui ad usurpare la libertà altrui, si dimostrano necessarie le pene:
– lo scopo della pena non è punitivo, ma preventivo: serve a scoraggiare (con la minaccia di punizione) il delitto;
– l’uomo infatti è portato naturalmente non solo a riprendersi la porzione di libertà a cui ha rinunciato durante la stipula del patto, ma anche ad usurpare quella altrui:
– per evitare che ciò avvenga, lo Stato deve necessariamente comminare delle pene che colpiscano in qualche modo i sensi: questo è insito nella natura dell’uomo, che evita di delinquere solo se spaventato da un motivo sensibile.
– Pensare che l’uomo abbia ceduto gratuitamente parte dei propri diritti, unicamente per il bene pubblico è una sciocchezza: la dura realtà è che ognuno in cuor suo desidera essere escluso dai vincoli che limitano gli altri: «né l’eloquenza, né le declamazioni, nemmeno le più sublimi verità sono bastate a frenare per lungo tempo le passioni eccitate dalle vive percosse degli oggetti presenti».
Diritto di punire. Lo Stato ha dunque diritto di punire, e anche il dovere: e tanto più è giusta la pena, quanto più inviolabili sono quei diritti che lo Stato deve difendere.
– Ma, come dice Montesquieu: ogni pena che non derivi da assoluta necessità, dice Montesquieu, è tirannica:
– le pene, per adempiere correttamente al loro scopo (cioè prevenire i delitti) non devono essere aspre, ma devono essere certe: solo la certezza della pena fa in modo che l’individuo sia portato ad evitare il delitto.
Audio Lezioni sulla Letteratura italiana del settecento del prof. Gaudio
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