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La Città Medievale
“Il mondo sembrava tornato al grande silenzio delle origini, quando né animali né uomini lo popolavano” : così lo storico Paolo Diacono rievocava la desolazione seguita alla grande peste che infierì sull’Europa centro meridionale a metà del secolo sesto. Città ridotte a spettri di se stesse, villaggi al limite della sussistenza circondati e invasi dalla vegetazione selvatica, spopolati, ingombri di rovine. Dovunque vi erano paesi ridotti e poche case; le arene, le terme e le basiliche saccheggiate e distrutte dai barbaril’abbandono era generale. Gli uomini si aggrappavano faticosamente ad un’esistenza precaria. Dappertutto rovine; le pietre custodivano sepolcri e ossa di morti, suscitavano angoscianti sensi di paura. Nel secolo X la popolazione si raggruppava entro luoghi fortificati attorno le terre coltivate. Dopo il Mille la città raccoglie i suoi resti, li trasforma nuovamente in case, palazzi , strade. La città cresce; si esalta nelle cattedrali sempre più alte, arricchisce nei traffici e negli affari. La città italiana comunale ridiventa sede del potere, eliminando le terre incolte che diventavano campi di cereali, traccia canali navigabili, prosciuga paludi e argina fiumi. Paurose alluvioni di fiumi e accanite rivolte sociali segnano l’apice dell’affermazione urbana nell’Italia comunale.
LA CITTÀ VESCOVILE
- La città vescovile era formata da chierici maggiorenti e dal popolo in collaborazione con il vescovo che era il responsabile religioso e civile su tutto il territorio diocesano e della città. Le civitas erano quindi centri urbani connessi sotto il profilo economico e sociale, politico-amministrativo con un territorio rurale di vasta estensione.
- I chierici e i laici erano al vertice delle responsabilità sociali nelle città.
- La cità risultava quindi la sede ufficiale del vescovo, della curia, delle magistrature municipali e di un conte, che era un capo militare un giudice ed era circondato da un nucleo barbarico di guerrieri.
La città vescovile nel regno italico:
Nel regno italico il governo vescovile delle città appare nettamente distinto dal dominio di carattere signorile. Il districtus , infatti, conferito al vescovo si presenta come un potere di comando e coercizione che permette di creare con il popolo rapporti di collaborazione.
La collettività cittadina, ormai in crescita demografica, è strutturata secondo schemi sociali che conferiscono rilievo spontaneo a gruppi limitati di maggiorenti. Il regime vescovile delle città italiane prelude quindi l’affermarsi dei comuni, perché garantisce e promuove un assetto sociale in cui le gerarchie della ricchezza fanno le loro prime prove politiche partecipando alle decisioni de vertice episcopale della città.
La città vescovile in Germania :
Le città vescovili della Germania erano molto diverse da quelle italiane.
Inizialmente il potere del vescovo nasceva dalle immunità di cui le terre ecclesiastiche godevano nel territorio rurale. Poi la città vescovile andò trasformandosi in città comunale.
Il risultato ultimo fu il superamento della città vescovile e l’individuazione di un tipo di città intermedio tra quella vescovile e quella comunale.
Tutto ciò fu la conseguenza di un tardivo sviluppo urbano in Germania rispetto all’area mediterranea situazione aggravata dalla crisi dell’impero e dell’ordinamento episcopale nel XI -XII secolo che portò all’affermazione di nuclei politici contro la chiesa.
Le città vescovili nell’occidente ruralizzato:
Le popolazioni germaniche contribuirono al processo di ruralizzazione delineato nei periodi delle loro irruzioni. Furono presenti anche nelle città che conservarono sempre la funzione di centri per l’organizzazione politica. Le città erano circondati da mura e apparivano come naturali fulcri di fortificazione militare per i principali nuclei di potere in cui la dominazione regia si articolava.
Successivamente ci fu la formazione di ceti latifondisti caratterizzati da uno stile militare di vita; l’episcopato fu tratto da questo ceto di vocazione guerriera. Ne seguì l’alterazione del costume ecclesiastico ( gli episcopi civitatum forniti di clientela militare, fecero della propria città un centro autonomo in contrasto o in alleanza con potere regio e schieramento militare ).
L’ultima collaborazione tra potere regio ed episcopato si accompagnò alla preoccupazione di un funzionamento parallelo tra gerarchia ecclesiastica e pubblica, un parallelismo che sarebbe dovuto manifestarsi in ciascuna città con la restaurazione di palatia publica e la costruzione dei claustra canonicorum.
In seguito il grande disegno carolingio non concedeva autonomia alle città organizzate in un impero rurale secondo gli schemi cittadini suggeriti dall’antico mondo mediterraneo. Si presentava comunque sia come un impero continentale aumentato della contraddizione tra realtà economica-sociale e schema politico. L’ordinamento carolingio che prevedeva divisioni territoriali basate su nuclei urbani era caduto.
Inizialmente le funzioni pubbliche apparivano ben distinte da quelle di natura etico-religiosa ma nell’età post-carolingia, furono attribuiti ai vescovi poteri ufficialmente distinti da quelli religiosi; infatti racchiudeva in se l’intero governo morale e politico e politico della collettività cittadina. La città vescovile diventò una sorta di isola giurisdizionale autonoma, realizzava in una forma istituzionale nuova l’idea di città come peculiare ambito civile. I vescovi anche quando erano privi di diplomi regi esercitavano ugualmente la supremazia sul territorio urbano, a questi apparteneva la responsabilità religiosa e morale suprema.
BIBLIOGRAFIA :
Vito Fumagalli, Paesaggi della paura. Vita e natura nel Medioevo, Bologna
G. Tabacco, La città vescovile nell’alto Medioevo, in Modelli di città. Strutture e funzioni politiche, a cura di P. Rossi, Torino 1987, pp. 327-345