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13 Settembre 2011articolo sulla violenza, di Vincenzo Andraous
Sassate dalle finestre, passanti presi di mira, automobili rigate, docenti passati al setaccio dai pugni, nell’ostentazione di una prepotenza che non conosce la vergogna della sanzione.
Bullismo, prevaricazione, violenza, è pratica fino all’ultimo giorno di scuola, come a voler significare che abbiamo iniziato l’anno scolastico male e lo abbiamo concluso anche peggio.
E’ il caso di continuare a puntare il dito sui ragazzini delle elementari, delle medie inferiori e superiori, accusandoli di essere i dispensatori di sofferenze e dolori, indicandoli come i devastatori delle dimore del sapere?
E’ ancora il caso di avere nel mirino quelli che sono tenuti meno in considerazione dal sistema sociale, poi quando accade il botto eclatante, solo allora ne percepiamo il danno, ma come se non fossimo del tutto coscienti che è stato provocato da noi adulti, da noi educatori, da noi portatori di grandi parole e pochi comportamenti, refrattari a comprendere che volenti o nolenti ne paghiamo tutti le conseguenze.
Sassate che arrivano dritte al cuore, ci vogliono dire qualcosa, ce lo gridano pure, ma non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.
Dentro una classe, vicino a una scuola, sotto casa, gli attori e le comparse si defilano, si sciolgono, si ricompongono. E’ una comunità educativa che non conosce la tattica, la strategia, è un agglomerato costantemente in difesa, che ogni tanto minaccia sconquassi, ma riduce la risposta autorevole, perché in credito di autorità, con l’urto e il fastidio di una nota, di una sospensione, di una bocciatura.
Riduce e ricuce la risposta da formulare come comunità pedagogica genitoriale, non riesce a immaginare lo scarto necessario per non difendere l’indifendibile, per non negare l’evidenza di una fragilità che abbisogna di aiuto, di sostegno, di altre capacità per venire fuori dalle sabbie mobili in cui si è cacciata la famiglia.
Il Ministro Gelmini ha detto che “bisogna rilanciare un progetto educativo e nessuno si può chiamare fuori” , come a dire educare e collaborare è opera di tutti, impegno irrinunciabile di quella solidarietà sociale che tiene insieme valori di riferimento quali libertà e giustizia.
Il problema sta nel niente corposo che traveste di ordinario il quotidiano di tanti giovani, in quel nulla dalle tante maschere indossate a casaccio, il pericolo-pieno della violenza che lega insieme, e rimanda a una insoddisfazione malata dall’incapacità di parlare, di confrontrarsi, di comprendersi e comprendere l’altro.
Vittime predestinate di un nomadismo dell’errore privo di uno sbocco, ripetuto sino alla nausea, straripa il dolore che non ce la fa più a rimanere pancia a terra, e sebbene da sempre si verifichino atteggiamenti- comportamenti aggressivi e poi violenti, occorre riprendere in mano il bandolo della matassa, bisogna rifarlo ogni volta che serve, non avere timore delle risposte che urtano alla nostra porta di genitori, è urgente chiederci: ma se non si diventa bulli, violenti, criminali all’improvviso, come è potuto accadere che nostro figlio…………………..
Un grande scrittore ci ha insegnato molto della buona vita da vivere: “chi è nell’errore compensa con la violenza ciò che gli manca in verità e forza” .
Il mondo adulto, la famiglia, sarà bene si chieda quale valore consegnare alla correttezza e alla continuità di educare per riuscire davvero a crescere insieme.